Ariela Piattelli
Si definisce un «fotografo cineasta» Raymond Depardon, il fotografo documentarista francese (premio Pulitzer nel 77) cui è dedicata la retrospettiva cinematografica allAccademia di Francia «Racconti della realtà» (Villa Medici, fino al 31 maggio). «Reporters», «Emergenze», e «Profili contadini» sono solo alcuni tra i film che saranno proiettati, in cui Depardon si è concentrato a rappresentare le realtà a lui care: la fotografia, la psichiatria ed il mondo contadino, mondo dove Depardon trova le sue radici. È nato infatti in una piccola fattoria della Francia nel 42, e a sette anni già possedeva una macchina fotografica. «Mi chiedo se sia un miracolo - dice Depardon -. I miei genitori capirono subito che non avevo la stoffa dellagricoltore. Il mio sogno era diventare regista». Ed è stata proprio la lezione del mondo contadino a far sì che il suo sogno si realizzasse: «Nel mondo contadino non si può fare marcia indietro - spiega il fotografo - cè la tendenza a non essere mai soddisfatti del proprio raccolto: mi hanno aiutato nella mia professione la volontà, lorgoglio e la tenacia, qualità che ho ereditato proprio dal mondo contadino». Depardon è membro della Magnum, (è stato anche un grande reporter di guerra), e continua a girare i suoi film. «Il linguaggio fotografico e il linguaggio cinematografico sono due campi ben distinti - dice Depardon -. I tempi sono diversi. Il cinema ha una durata, la fotografia non ce lha. Cambia anche il numero delle persone coinvolte». Ma anche se i due linguaggi sono ben diversi, «le due professioni vivono in osmosi - dice il regista -. Cè un movimento continuo tra le due pratiche: pur continuando ad essere membro della Magnum, faccio i miei film e spero di poter continuare a fare entrambe le cose».
Nel corso dei decenni la fotografia, come il cinema, ha subito dei profondi cambiamenti: «Io sono cambiato insieme alla fotografia - dice Depardon -. Adesso è diversa la concettualizzazione della fotografia, ora il fotografo è considerato un artista, mentre in passato non era autonomo, era subordinato, perché doveva sempre illustrare qualcosa». Ma sulle nuove tecnologie, come il digitale, Depardon è rimasto lartista di un tempo, affascinato dal mondo della pellicola: «Non sento la necessità del digitale - dice - mi affascina limprevisto, la foto mancata, lincidente fotografico». Depardon conclude svelando il segreto del fotografo: «Deve esserci sempre una motivazione per scattare una fotografia o a girare una scena: penso a Rossellini che filma Ingrid Bergman in Stromboli. La filmò perché lamava.
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