«Difendere l’italiano è un’impresa da donne»

È la signora della lingua italiana. Nicoletta Maraschio è la presidente della Crusca, prima donna a guidare l’Accademia. Dove l’italiano è un tesoro da difendere: come la farina, che va separata dalla crusca. Donne, tra i dotti e i parrucconi dell’istituto fiorentino, dalla fine del Cinquecento se ne sono viste poche. La prima a entrare fu Caterina Franceschi Ferrucci, nel 1871. Centotrentasette anni dopo è una sessantaduenne di Pavia a segnare il nuovo record: Nicoletta Maraschio, professoressa di storia della lingua italiana all’università di Firenze.
È la prima donna presidente: come si sente?
«Sono molto grata ai miei colleghi per la fiducia. Mi aspettano molte incombenze. Vorrei soprattutto rafforzare l’Accademia».
Che cosa farà?
«Due obiettivi: promuovere lo studio della lingua italiana nel nostro Paese e in Europa e rafforzare i rapporti con la scuola».
Sciolga il dubbio: la presidente o la presidentessa?
«Prediligo la prima soluzione. “Presidente” non è né maschile né femminile: è l’articolo che toglie ambiguità. Ma, anche alla Crusca, le opinioni sono diverse. La tendenza è a una femminilizzazione della lingua, ma presidentessa non lo direi mai».
Perché?
«Perché potrebbe indicare la moglie del presidente, come ambasciatrice è la consorte dell’ambasciatore. Il problema non è semplice: bisogna tener conto della tradizione e, allo stesso tempo, rinnovarla, per dare alle donne il ruolo, anche linguistico, che spetta loro».
Letterate e linguiste hanno spazio in Italia?
«Negli ultimi anni sono sempre di più, e sempre più brave. Io ho cominciato a lavorare con Nencioni negli anni Settanta, da neolaureata. La mia fortuna è stata trovare un maestro come lui».
La Crusca è un’eccezione?
«Non direi. L’Accademia rispecchia la situazione degli studi linguistici, un settore dove le donne sono all’avanguardia. Sono stata vicepresidente per dieci anni».
Nell’italiano le donne sono più avanti?
«Diciamo di sì. Almeno negli studi».
Di che cosa ha bisogno l’italiano oggi?
«Dobbiamo recuperare fiducia nella nostra lingua: studiarla, amarla e usarla al meglio. L’italiano è unico: perché è stato creato dai poeti, e non da una capitale (come il francese) o da una chiesa (come il tedesco)».
Mode linguistiche che la preoccupano?
«C’è un uso improprio della punteggiatura. Virgole che separano il soggetto dal predicato; abbondanza del punto fermo che, a volte, è un riflesso più che uno stile. Poi c’è internet, dove il linguaggio è molto semplificato e la punteggiatura è ridondante, per rendere l’emotività del parlato».
Una parola per le donne?
«Fatica. Però anche “determinazione” ci qualifica in molte...».
E per gli uomini?
«Be’, sono un po’ in crisi».
Titubanti?
«Forse».
Un vocabolo che odia?
«Gli stereotipi, le parole sempre ripetute che, col tempo, diventano un abuso. Welfare, per esempio: perché dobbiamo chiamare così un nostro ministero?».
Il giorno dopo la sua nomina è andata in ateneo per gli esami.

I suoi studenti erano intimoriti?
«No, mi aspettavano e mi hanno accolto con molti sorrisi. Nessuna piaggeria però: mi ha fatto molto piacere. A volte sguardi e gesti sono più importanti della lingua».
Insomma era soddisfatta?
«Sì, molto. Anche se poi tanti esami sono andati male».

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