Difesa, Chiti boccia l’idea dei Verdi «Pensate a De Gregorio al Senato»

Il ministro preoccupato per la tenuta dell’alleanza a Palazzo Madama

da Roma

Andrea Ricci, capogruppo di Prc alla commissione Bilancio, parla fitto al cellulare. È reduce dall’ennesimo vertice di maggioranza sulla Finanziaria. «Il confronto con la Lanzillotta è stato durissimo - dice ad un misterioso interlocutore - le ho detto che noi votiamo contro il suo disegno di legge sulle privatizzazioni dei servizi pubblici locali. Abbiamo ottenuto, non ti dico dopo quale discussione, che venga introdotto il principio “la proprietà delle società può restare pubblica”. È il massimo che sono riuscito ad ottenere».
La telefonata indica il clima all’interno della maggioranza sulla manovra. E tra la maggioranza ed il governo. Due entità sempre più distanti. La conferma viene dal duetto fra il ministro Vannino Chiti ed il capogruppo dei Verdi Angelo Bonelli. Bonelli vuole assolutamente tagliare le spese alla Difesa. Il titolare dei Rapporti con il Parlamento gli risponde secco: «Ma allora vuoi il governo delle larghe intese... Non pensi a De Gregorio al Senato?». Il presidente della Commissione Difesa di Palazzo Madama, già in bilico fra maggioranza ed opposizione, difficilmente potrebbe accettare una riduzione dei trasferimento alla Difesa. «Ed ora pure Andreotti ha detto che indeciso», chiosa il ministro.
Chiti, però, ha ragione a temere per la manovra. La finanziaria non è soltanto quel «cantiere aperto» in discussione alla Camera. C’è anche il decreto fiscale al Senato a preoccupare il governo. Al punto che Padoa-Schioppa annuncia che il governo non ha ancora deciso se porre o meno la fiducia a Montecitorio ed a Palazzo Madama. Una posizione espressa dopo il primo vertice avuto a Palazzo Chigi con Prodi e Visco. Il presidente del Consiglio è poi salito al Quirinale. Ed al rientro ha nuovamente convocato ministro e vice dell’Economia a Chigi.
Nella prima riunione avrebbero discusso di Finanziaria, ed in modo particolare delle soluzioni da individuare per il contratto del pubblico impiego. Nella seconda, invece, il presidente del Consiglio avrebbe «girato» a Padoa-Schioppa e Visco le preoccupazioni del Colle sull’iter parlamentare della manovra. E dell’invito che Napolitano gli avrebbe fatto di non essere rigidi nei confronti delle richieste parlamentari. «L’importante è che non vengano toccati i saldi», avrebbe commentato Padoa-Schioppa.
A Palazzo Chigi, però, le preoccupazioni si stanno concentrando sul Senato. Dalla settimana prossima, la discussione sul decreto entrerà nel vivo in commissione. L’Unione ha un voto di maggioranza nelle commissioni di merito. Tutto, però, si deciderà - sia alla Camera sia a Palazzo Madama - fra una decina di giorni: quando i due provvedimenti arriveranno quasi contemporaneamente all’esame delle rispettive aule.
A quel punto, e solo a quel punto, il governo deciderà se chiedere il voto di fiducia. Visto il clima della maggioranza nei confronti del governo, un voto di fiducia potrebbe essere considerato uno «schiaffo» alla maggioranza, in quanto farebbe decadere tutti gli emendamenti approvati in commissione.

Ed i parlamentari ed i ministri dell’Unione che non trovassero le loro modifiche contenute nel maxi emendamento del governo, potrebbero essere tentati allo sgarbo. E Mastella commenta: la Finanziaria potrà essere valutata solo alla fine, dopo i miglioramenti apportati dagli emendamenti. Una considerazione od una minaccia?

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