La difesa del dentista: «Non è vero che da noi si soffre...»

Caro Direttore,
recentemente, nella pagina delle lettere al direttore del Giornale, è stata giustamente criticata l'attuale tendenza alle frasi fatte ed agli stereotipi. Grande meraviglia, pertanto, ha destato in me, la sua risposta al lettore Ermanno Trovato («Ho chiesto alla banca: e voi che garanzie siete in grado di darmi?»). Infatti, nel suo commento, lei scrive: «Per anni siamo entrati in banca come si va dal dentista: rassegnati a sentire dolore e a lasciarci tanti soldi».
Ora, a parte il fatto che battute di questo tipo, riferite, mutatis mutandis, ai giornalisti, non sarebbero di certo gradite, sottolineo energicamente che il suo commento non ha il minimo rapporto con la realtà. In primo luogo perchè oggi, dal dentista, l'anestesia permette interventi, anche complessi, del tutto privi di dolore, in secondo luogo perchè i «tanti soldi» sono paragonabili ai «tanti soldi» che si devono corrispondere per il consiglio di un avvocato o per il progetto di un architetto. Insistere con stereotipi di questo tipo contribuisce a mettere alla gogna una categoria di professionisti che merita di essere rispettata come qualsiasi altra. Per ovvi motivi (non cerco pubblicità!) vi prego di omettere la mia firma.
C.G. - Professore di Odontoiatria - Milano

Con i dentisti non riesco ad azzeccarne una. Qualche tempo fa li avevamo fatti infuriare per un servizio sulle cure nell’est Europa. Ora mi è scappata questa battuta, che credevo innocua e che invece ha suscitato il risentimento di un nostro lettore, esimio professore milanese. Sembra quasi un accanimento odontoiatrico, una placca editorial batterica, una gengivite redazionale. Invece no. Anzi, ve lo devo confessare: a me i dentisti stanno molto simpatici, soprattutto da quando ho incontrato il mio attuale medico curante, che mi ottura i molari come se suonasse un rap. Il dottor Carlo, infatti, ha una grande passione per la musica. A tempo perso (anzi, per lui: a tempo guadagnato) va in giro per il mondo a suonare con un gruppo di amici. Pare che una volta li avessero chiamati a una manifestazione importante, di quelle che vanno in Tv. Poi però, prima che arrivassero loro, la manifestazione è stata sospesa. Non so se sia vero o se sia uno dei suoi fantastici racconti, ma poco importa: lui impugna il trapano come se fosse una chitarra, tratta le carie come note sul pentagramma, e di conseguenza quando io mi siedo su quella poltrona, che per molti è simbolo di immani sofferenze e paure, mi rilasso più che al cinema. «Comincia lo show», penso mentre lui parla, parla, trapana e parla. I miei amici mi prendono in giro perché dico che andare dal dentista, per me, è uno dei momenti più rilassanti della settimana: stacco il telefonino, stacco anche un po’ la testa e se lui, nel frattempo, mi stacca un dente del giudizio, manco me ne accorgo. Sarà merito dell’anestesia, come dice lei, emerito professore? O dell’abilità del mio dentista? O della sua capacità affabulatoria? Chi lo sa. Però, ecco, tanto dovevo alla categoria, per dimostrare che non c’è nessuna acredine nei loro confronti. Anzi: grande stima e assoluta simpatia.

Anche se, sono sicuro, adesso cominceranno ad arrivare le lettere di protesta dei lettori, che mi ricorderanno i loro inevitabili dolori economico-odontoiatrici. Roba, glielo assicuro caro professore, da far venire il mal di denti.

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