La difesa della razza (con alcune eccezioni)

Egregio , dato che di lei mi fido le piacerebbe spiegarmi in che cosa consistevano le famose leggi razziali di cui ancora tanto si parla? Erano l’equivalente di quelle tedesche per cui gli ebrei finivano nei campi di sterminio o altro? Glielo chiedo perché sono troppo giovane o troppo poco vecchio per averle vissute e quando ero a scuola delle leggi razziali si parlava come delle leggi razziali punto e stop. Adesso mi è venuta la voglia di saperne un po’ di più, per cui chiedo a lei.


Andiamo maluccio, eh, caro Colombo, in quanto a conoscenza della storia patria. Augurandomi che voglia poi approfondire l’argomento, s’accontenti di questo: col nome di Leggi razziali si indica un certo numero di disposizioni emanate alla fine degli anni Trenta e che riguardavano: la «difesa della razza nella scuola fascista»; l’istituzione di «scuole per i fanciulli di razza ebrea»; i provvedimenti «nei confronti di ebrei stranieri»; i provvedimenti «per la razza italiana» e la disciplina «per l’esercizio delle professioni da parte dei cittadini di razza ebraica». In sintesi, di questo si trattò: divieto di matrimoni con appartenenti alle razze non ariane (va da sé che uso, potrei metterci le virgolette, la terminologia dell’epoca); divieto d’entrata ed espulsione degli ebrei stranieri; divieto d’accesso per docenti o impiegati di razza ebraica a qualsiasi ufficio od impiego nelle scuole di ogni ordine e grado frequentate da alunni italiani. Di contro, per gli alunni di razza ebraica erano istituite speciali sezioni di scuola elementare. Naturalmente, delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti non potevano far parte cittadini di razza ebraica. Ai quali era inoltre vietato di possedere o dirigere aziende che impiegavano più di cento persone o fondi agricoli di oltre cinquanta ettari. L’esercizio delle professioni di giornalista, medico-chirurgo, farmacista, veterinario, ostetrica, avvocato, ragioniere, ingegnere, architetto, eccetera fu oggetto di ulteriori provvedimenti. I medici, ad esempio, salvo casi di comprovata necessità ed urgenza, potevano esercitare esclusivamente a favore di persone appartenenti alla razza ebraica. Agli ebrei fu vietato, tra l’altro: di essere portieri (oggi, custodi) in case abitate da ariani o titolari di agenzie d’affari, di commerciare i preziosi, di vendere oggetti d’arte o sacri, di gestire esercizi con mescita di alcolici o scuole di ballo, di fare l’affittacamere, di possedere la licenza per autoveicoli da piazza, pilotare aerei di qualsiasi tipo e allevare piccioni viaggiatori.
Questa raffica di provvedimenti trovò la sua consacrazione in una sorta di magna carta del supremo organo del fascismo il quale, dopo aver illustrato la giustezza e la «necessità» di «difendere la razza», inopinatamente così concludeva: «Il Gran Consiglio del Fascismo decide inoltre: che agli ebrei allontanati dagli impieghi pubblici sia riconosciuto il normale diritto di pensione; che ogni forma di pressione sugli ebrei, per ottenere abiure, sia rigorosamente repressa; che nulla si innovi per quanto riguarda il libero esercizio del culto e l’attività delle comunità ebraiche secondo le leggi vigenti; che, insieme alle scuole elementari, si consenta l’istituzione di scuole medie per ebrei».

È innegabile, caro Colombo, che il razzismo non si misura in grammi e che il farlo sarebbe spregevole. Ma per venire alla sua seconda domanda, come può riscontrare da sé le Leggi razziali, che sempre razziali restano, in qualcosa si distinguevano dall’insieme della politica antisemita in atto al di là del Brennero.

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