Navi da guerra, sottomarini e aerei spia: Trump invia la flotta contro narcos e Venezuela

Washington schiera cacciatorpediniere, sottomarini e 4mila uomini nei Caraibi. Obiettivo ufficiale: i cartelli della droga. Ma Caracas denuncia “una minaccia imperiale in declino”

Navi da guerra, sottomarini e aerei spia: Trump invia la flotta contro narcos e Venezuela

Donald Trump muove navi da guerra e sottomarini. Sono ore di tensione lungo l'asse tra Stati Uniti e Venezuela. Nelle ultime 24 ore il comando meridionale americano ha inviato tre cacciatorpediniere dotate di sistema misilistico Aegis, la USS Gravely e la USS Jason Dunham partite da Mayport, in Florida e la USS Sampson che si trovava non lontana dal Canale di Panama. Come ha raccontato l'analista Ian Ellis a queste si unisce anche la nave da combattimento litoranea USS Minneapolis-St. Paul già dispiegata non lontano dall'isola di Curaçao.

Navi da guerra Usa nei Caraibi

Secondo un funzionario americano sentito da Reuters a questi mezzi si aggiungono anche aerei spia P-8 Poseidon e almeno un sottomarino. Alla partita doveva unirsi anche un gruppo di attacco anfibio composto dalla Uss Iwo Jima, Uss San Antonio e Uss Lauderdale, ma le tre navi sono state costrette a rientrare a Norfolk a causa del passaggio dell'uragano Erin. Fonti del Pentagono hanno spiegato che almeno 4000 persone, tra marinai e Marines verranno spediti nell'area caraibica. I piani, fanno sapere fonti della Difesa Usa, sono di rimanere nell'area per diversi mesi operando solo in acque internazionali. Sempre secondo funzionari sentiti da Reuters l'assetto navale ha il compito primario di svolgere operazioni di sorveglianza e intelligence anche se non è da escludere che possa servire come trampolino di lancio per strike mirati.

Il dipartimento della Difesa ha fatto sapere che il dispositivo serve per fermare i cartelli della droga rafforzando la presenza di forze americane lungo le rotte del narcotraffico che arrivano dall'America latina verso gli Stati Uniti. Come ha notato Reuters, Trump sta avallando l'uso dell'esercito per bloccare una serie di organizzazioni responsabili delle forniture di stupefacenti nelle piazze di spaccio degli Stati Uniti. A febbraio la sua amministrazione ha designato come organizzazioni terroristiche il cartello messicano di Sinaloa e altre bande di narcotrafficanti, così come il gruppo criminale venezuelano Tren de Aragua.

La reazione di Maduro e Caracas

La notizia ha creato parecchio subbuglio in tutta la regione, con una reazione durissima soprattutto del Venezuela. Il presidente Nicolás Maduro ha spiegato che il Venezuela "difenderà i nostri mari, i nostri cieli e le nostre terre". E ha bollato il dispiegamento come "la stravagante e bizzarra minaccia di un impero in declino". Il 19 agosto scorso a ridosso delle prime indiscrezioni sul dispiegamento americano, Maduro ha annunciato un vasto piano di mobilitazione: "Questa settimana attiverò un piano speciale per garantire la copertura con oltre 4 milioni e 500 mila miliziani in tutto il territorio nazionale, milizie preparate, attivate e armate".

Vladimir Padrino López, ministro della Difesa venezuelano, ha lanciato un avvertimento agli Stati Uniti molto violento: "Non si azzardino a mettere le mani sul Venezuela", ha scritto sui social. "Non mettano piede in territorio venezuelano violando la nostra sovranità. Non sarebbe solo un'aggressione contro il Venezuela, ma contro tutta l'America Latina".

Nel frattempo sui social compaiono dei video inquietanti dal Venezuela. Diversi utenti hanno segnalato movimenti a Valencia, nello stato venezuelano di Carabobo nel nord del Paese. Nelle immagini si vede la stata segnalata la mobilitazione di mezzi militari, tra cui veicoli blindati e unità di fanteria.

50 milioni sulla testa di Maduro

Se da un lato è vero che Trump ha promesso una lotta senza quartiere ai narcos, è altrettanto vero che Caracas e il regime di Maduro restano un obiettivo. Negli scorsi giorni Washington ha portato a 50 milioni di dollari la ricompensa per informazioni che portino all'arresto del presidente venezuelano, accusato dagli americani di essere "uno dei più grandi narcotrafficanti del mondo". Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, ha spiegato come la posizione di Donald Trump nei confronti di Maduro sia sempre stata chiara e coerente: "Il presidente è pronto a usare ogni elemento del potere americano per impedire ai flussi di droga che arrivano nel nostro Paese. Il regime di Maduro non è il governo legittimo del Paese ma un cartello del narcotraffico". Terry Cole, direttore della Dea, ha anche accusato Maduro, di collaborare con gruppi di guerriglia colombiani, come l'Esercito di liberazione nazionale (Eln), per inviare "quantità record di cocaina" ai cartelli messicani che trafficano negli Stati Uniti.

p-8
Aereo spia P-8

In questa fase delicatissima il governo americano ha emesso un'allerta massima per i suoi cittadini e residenti, esortandoli a non recarsi o rimanere in Venezuela "per nessun motivo" a causa dei rischi di "detenzione illegale, tortura durante l'arresto, terrorismo, sequestro di persona, pratiche di polizia ingiuste, crimini violenti e disordini civili". Le autorità Usa hanno chiesto a chiunque sia a conoscenza di connazionali detenuti nel Paese sudamericano di essere contattate direttamente tramite l'indirizzo email ufficiale dell'ambasciata statunitense.

Trump, i narcos e la strategia in Centroamerica

Al di là del braccio di ferro con il Venezuela, da mesi l'amministrazione Trump sta intensificando la sua azione in tutta l'area centroamericana. All'inizio dell'anno il Pentagono ha inviato uomini e mezzi lungo il confine con il Messico per rinforzare i controlli di frontiera contro i traffici dei narcos. Nei mesi successivi è iniziato un braccio di ferro proprio con il Messico sulla gestione dei cartelli.

Prima con una telefonata del segretario alla Difesa Pete Hegseth ai vertici dell'esercito messicano in cui minacciava un intervento diretto degli Usa in caso di fallimento delle politiche di contenimento dei traffici di droga. E poi una minaccia diretta di Donald Trump di intervenire con le forze speciali contro i cartelli della droga anche fuori dai confini statunitensi.

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