L'Iran muove tank e missili: cosa rivelano i giochi di guerra

Al via l'esercitazione militare dell'Iran "Aghtdar". Vi spieghiamo come leggerla e come si inquadra nell'attuale contesto strategico mediorientale

L'Iran muove tank e missili: cosa rivelano i giochi di guerra
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Nella giornata di venerdì 27 ottobre l'Iran darà il via all'esercitazione "Aghtdar" che vedrà coinvolte forze dell'esercito di Teheran nell'area della città di Nasrabad, nella regione di Isfahan. Secondo quanto riferito da uno scarno comunicato stampa, l'esercitazione di terra dell'esercito durerà due giorni e vedrà l'impiego di unità di fanteria, unità corazzate, missilistiche, di artiglieria, reparti aerei, droni, personale del genio e aviotrasportato, nonché unità per la guerra elettronica (EW – Electronic Warfare) e informatica (Cyber Warfare) che effettueranno missioni con il supporto degli aerei dell'aeronautica. Questa esercitazione si svolgerà sotto la supervisione di esperti, valutatori e comandanti delle forze armate per affrontare le minacce imminenti e i cambiamenti nell'organizzazione di combattimento delle forze di terra dell'esercito, secondo i piani prestabiliti.

Le manovre forse offriranno la possibilità di vedere in azione un nuovo tipo di drone progettato dagli iraniani, lo Shahed-133, basato su uno Uav (Unmanned Air Vehicle) israeliano tipo Hermes 180 catturato. Il sistema sarebbe accreditato di un raggio d'azione di 1.500 chilometri e, a differenza dell'Hermes 180, può trasportare e sganciare due munizioni guidate Sadid-345 con portata di 6 chilometri.

L'anno scorso, durante un'esercitazione tenutasi a settembre, l'Iran aveva testato per la prima volta il missile balistico a corto raggio Fath 360 con una portata da 30 a 120 chilometri che può trasportare una testata da 150 chilogrammi e raggiungere la velocità di crociera di Mach 3, mentre in fase terminale, quando punta sul bersaglio (homing) si ritiene possa arrivare sino a Mach 4. Tornando all'esercitazione “Aghtdar” non è stato reso noto il numero degli uomini o dei mezzi che vi parteciperanno, né se le unità missilistiche coinvolte saranno quelle del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, quindi utilizzanti missili balistici che, lo ricordiamo vengono gestiti esclusivamente da esso.

In questo particolare momento storico, l'esercitazione si configura come una dimostrazione di forza del potenziale bellico iraniano a fronte dell'escalation che si sta vedendo nel Levante per via del proditorio attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. Gli Stati Uniti, come sappiamo, hanno spostato diversi assetti verso il Medio Oriente, tra cui due portaerei e sistemi da difesa aerea, nel timore che l'invasione israeliana della Striscia di Gaza possa innescare la reazione iraniana, non solo verso lo Stato ebraico ma anche contro obiettivi Usa nella regione.

Bisogna anche considerare che l'Iran sta affrontando pure un'altra crisi, che è passata in secondo piano, ed è quella nel Caucaso: durante l'ultimo attacco azero, che ha portato alla fine dell'esistenza del Nagorno-Karabakh come provincia autonoma filo armena, Teheran aveva spostato truppe al confine con l'Azerbaigian. Le alleanze in tutta la regione esulano il contesto religioso, come si potrebbe facilmente pensare, e pertanto ci troviamo ad avere l'Armenia sostenuta dall'Iran – in funzione anti-turca e anti-Israele – e l'Azerbaigian sostenuto dalla Turchia e da Israele, in funzione di contenimento dell'espansionismo degli Ayatollah.

La stessa chiave di lettura è applicabile all'attuale conflitto nel Levante: a spingere Teheran a sostenere Hezbollah e Hamas non è la questione religiosa, ma è la volontà di impegnare Israele in una guerra che potrebbe facilmente allontanarlo dai Paesi arabi che hanno stretto relazioni diplomatiche e commerciali con gli Accordi di Abramo e da quelli che sembravano propensi a prendere la stessa strada. Accordi di Abramo che avevano messo all'angolo l'Iran nonostante la riapertura delle relazioni diplomatiche con l'Arabia Saudita (mediata dalla Cina).

Ci permettiamo, a tal proposito, una breve digressione riguardante la Turchia.

Le parole del presidente Erdogan sui miliziani di Hamas definiti "dei liberatori" non vanno lette come un posizionarsi a fianco dell'Iran, bensì come il tentativo di riprendere in mano il dossier palestinese – Ankara in passato si era proposta come mediatrice tra le autorità palestinesi e Israele – da "rivendere" ai Paesi mediorientali e del Nord e Corno d'Africa per le proprie mire di potenza regionale di riferimento, un obiettivo che ha come avversario naturale proprio l'Iran.

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