Paolo Brusorio
da Milano
Inutile, è una guerra che non finirà mai. E ieri si è concluso un altro assalto: lex direttore di Repubblica Eugenio Scalfari è stato condannato (e con lui anche lattuale direttore Ezio Mauro) per diffamazione nei confronti di Bettino Craxi a una pena pecuniaria dal Tribunale di Roma. Nel 2003 Scalfari scrisse che lex leader del Psi, morto il 19 gennaio di sei anni fa, «intervenne con mezzi illeciti per impedire la vendita della Sme». Insomma, Scalfari sosteneva che ci fossero state ingerenze nellaccordo tra Prodi e De Benedetti. A denunciare il fondatore di Repubblica è stata la figlia di Craxi, Stefania, che ora si gode questaltra vittoria: «È lennesima conferma dellaggressione mediatico-giudiziaria di cui fu vittima mio padre, una campagna senza precedenti nella storia del Paese».
Fin qui la cronaca. La Storia adesso. Craxi e Scalfari hanno occupato il centro del ring per trentanni, senza mai risparmiarsi colpi. Anche quelli sotto la cintola. I due si conobbero sui banchi del consiglio comunale di Milano nel 60, condivisero, nel Psi, la campagna elettorale del 68 ed entrarono insieme in Parlamento. Si usmavano da anni, ma è finita male. Quando, era il 29 aprile del 93, la Camera negò lautorizzazione a procedere contro il segretario del Psi per i fatti di corruzione avvenuti a Milano, la tempesta perfetta di Mani Pulite, Repubblica sfoderò un titolo a caratteri che più cubitali non si poteva: «VERGOGNA, ASSOLTO CRAXI». E Scalfari scrisse: «Questo, dopo il rapimento e poi luccisione di Aldo Moro, è il giorno più grave della nostra storia repubblicana». Lanno precedente, era arrivata la frustata dellex presidente del Consiglio: «Scalfari? Il direttore di Repubblica portava la camicia nera, scriveva sui giornali fascisti e ora dopo mezzo secolo, viene a dirci quello che dobbiamo fare?». Quali fossero i rapporti tra i due, provò a spiegarlo il «Vate del Colle» (così Craxi definì il giornalista nell82, prima ancora dellinnamoramento di questi per Ciriaco De Mita) tre giorni dopo la scomparsa del leader del Garofano. Scrisse sul suo giornale: «...(Craxi) Giocò una partita solo contro tutti, la perse distruggendo i suoi e se stesso, ma cadde senza arrendersi». E ancora: «Come un Luigi XIV, non faceva distinzione alcuna tra il patrimonio personale e quello del partito».
Craxi, Scalfari laveva già bollato in vita: era Ghino di Tacco, come il bandito di Radicofani che taglieggiava tutti coloro che attraversavano lItalia e che da quella rocca dovevano passare. «La forza del Psi - disse Scalfari nell85 - deriva da quel pacchetto di voti senza i quali non si fa nessuna maggioranza parlamentare. Da lì, come da Radicofani, si deve passare per forza».
Colpi di fioretto e molti di spada. Dallaffare Eni ai rapporti col Pci, dalla Rai a Sigonella: una guerra senza soluzione di continuità. Ugo Intini, delfino del segretario Psi, sullAvanti! chiamò Scalfari «giornalista trimezzato»: «un terzo giornalista, un terzo politico e un terzo uomo daffari». Lattenzione tra i due pesi massimi era spasmodica, al limite del parossismo. Ancora 1985, Scalfari sul segretario socialista: «Craxi ha quel lessico, quel tono di voce, usa quegli aggettivi, rotea gli occhi in quel dato modo...».
Ieri unaltra puntata. Non sarà lultima.
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