Il difficile rapporto tra la pratica e la grammatica

Granzotto Granzotto... cosa combina con quel «comunque»?! «Sempre e comunque» - scritto da lei il 7 luglio 2010 - è d’uso comune, d’accordo, ma come direbbe Cesare Marchi «non è buon italiano». «Comunque» regge il congiuntivo. Esempio: «Comunque sia, non ci credo». Ne deriva che se termina con «comunque» una frase rimane sospesa per aria: «Gli scriverò comunque» (comunque cosa?). Vorrei sapere poi se a lei, mentre racconta qualche aneddoto magari in crociera, su qualche bellissima nave MSC, riesce di dire con disinvoltura «scandinàvo» anzichè «scandìnavo», ché il primo sarebbe corretto e il secondo no. Per quanto piccolo le appaia questo è un redde rationem linguistico, al quale la pregherei di non sottrarsi. (Con grandissima stima, ammirazione e simpatia)
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Scandinàvo, no, non mi viene, caro Avellino. Sa di affettato, ovviamente nel senso di lezioso, artificioso e non di prosciutto o capicollo. Però mi viene il «comunque» nel senso di avverbio, ovvero: in ogni modo, in ogni caso. Chiaro come il sole: in quanto congiunzione il «comunque» introduce una preposizione con verbo al congiuntivo, ma non è il caso di «sempre e comunque», almeno così a me par proprio, sebbene lei e certi puristi seguitiate a storcere il naso. Ciò che è di sicuro fastidioso è lo straripare del «comunque» nel linguaggio scritto e parlato, il suo essere divenuto quasi un intercalare (assieme a «come dire», al sessantottesco «cioè» e al «caso mai». Ci metterei anche il «dunque», ma così facendo mi tirerei la zappa sui piedi perché ne faccio buon uso, specie nella funzione di segnale discorsivo e alternandolo, perché non venga a noia, al più agée «ordunque»). Spero con questo d’aver dato seguito alla sua evangelica chiamata, caro Avellino, d’averle, insomma, reso conto. Se così fosse, ne approfitterei (fa caldo e sotto l’ombrellone mica si può parlare solo di mondiali di calcio, di chi si bavaglia e di chi si sbavaglia, sennò sai che sbadigli) per rispondere anche al garbatissimo Lucio Bernardi di Piovene Rocchette, in quel di Vicenza, il quale segnala che «da qualche tempo si legge ma soprattutto si sente alla Tv e radio l’uso degli articolo “lo” e “gli” in riferimento al costrutto “pn” (pmeumatico, pneumotorace). Sembrerebbe tutto in regola - davanti a “ps” e “pn” si usano “lo” e “gli” - però sfogliando I dubbi della grammatica di Eugenio Levi e Antonietta Dosi, edito da Longanesi nel 1982, ho letto che anche davanti al nesso consonantico “ps” nei nomi di origine greca si usa “lo” e “gli” (lo pseudonimo, gli pseudonimi). Mentre gli altri nessi consonantici esigono sempre l’uso dell’articolo “il” e “i”: il pneumatico, i pneumatici». Conclude il lettore che «non fosse altro che per la migliore orecchiabilità, a me sembrano corrette queste due ultime forme, dando ragione agli autori». Qui bisogna dire che non solo i puristi, ma nessun linguaiolo transige: la regola è una e va rispettata: lo pneumatico, gli pneumatici. E figuriamoci dunque se da uomo d’ordine quale sono, mi metto a far la fronda. Però... però nel suo crescere la lingua italiana ha sempre lavorato di lima sulle asperità, mirando a divenire, come lei ben dice, caro Avellino, eufonica, armoniosa. Tanto per buttar là un paio di esempi classici, adeguando un suono al suono che lo segue «admitto» divenne «ammetto»; sopprimendo un suono simile al suo vicino «quinque» diventò «cinque»; facendo cadere un suono «domina» diventa «domna» e quindi «donna».

«Lo pneumatico», diciamocela tutta, eufonico non è. Ma «pneumatico» è anche di fresco ingresso nel vocabolario. Diamogli dunque tempo e vedrà, caro Bernardi, che si approprierà della «il» gettando alle ortiche il «lo». Non ci piove.

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