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Diliberto: «Litigi sulle poltrone» Poi pretende Asor Rosa e Minà

da Roma

Detto, fatto: il Pdci si tira fuori dal «mercato» delle poltrone. «Non voglio partecipare», dice il segretario Oliviero Diliberto, criticando i suoi alleati «per i litigi sui posti ministeriali: non è stato un bello spettacolo...». Brillante operazione d’immagine verso l’esterno, per «parlare alla nostra gente di sinistra, a un mondo più vasto del Pdci», guarda caso all’indomani dell’elezione di Bertinotti alla presidenza della Camera.
Ma operazione diretta anche verso l’interno. All’ultima riunione direttiva del partito l’ordine del giorno della coppia Diliberto-Rizzo non lasciava margini ai dubbi: «Non c’è trippa per i gatti». I gatti, visto che la formazione si riconosce ormai per intero nella linea dei due quarantenni, appartengono alla razza felina cossuttiana. Pelo rosso antico, ora felicemente sposato alle tinte dei tappeti e degli scranni del Senato, dove il capostipite, Armando, gioca le sue rinnovate ambizioni. Aspira alla vicepresidenza di Palazzo Madama. Per concedere questa chance al vecchio fondatore del Pdci è arrivato anche il via libera alla costituzione di un gruppo unitario al Senato assieme ai Verdi (alle elezioni le liste erano comuni, «per l’Unione»), unita alla richiesta di poter esprimere il presidente del gruppo, nonostante l’inferiorità numerica (sei Verdi, cinque Pdci).
Al governo, invece, non andrà nessuno del partito: segretario e alter ego danno il buon esempio. In un incontro ieri con Prodi, Diliberto ha indicato piuttosto sei nomi di «area»: il professore Alberto Asor Rosa, storico; il giornalista Gianni Minà; il sindacalista della Cgil Giampaolo Patta; il rettore dell’Univeristà di Viterbo, Marco Mancini; il presidente del Tribunale di Roma, Luigi Scotti; Foad Aodi, medico palestinese. Nomi eccellenti, «un largo spettro di competenze che Prodi valuterà» e deciderà se e dove spendere: dall’Istruzione alla Comunicazione, dai Rapporti con il Parlamento al Welfare, dai Beni culturali alla Giustizia, alla Salute. Con questa brillante operazione la segreteria si rafforza al partito, evita che si possano immaginare o peggio organizzare «riconquiste» da parte dei cossuttiani. Scongiura altre diatribe, e magari un ulteriore «sgarbo» a Maura Cossutta, già esclusa dal Parlamento, per la quale si era evocato un posto al governo.
Oggi difatti la partita è molto complicata, la presidenza di Fausto Bertinotti alla Camera costringe Diliberto e Rizzo a misurare ogni passo. Lo schema da loro escogitato è allo stesso tempo arguto e ambizioso: prevede l’instaurazione di un buon rapporto di facciata con il presidente di Montecitorio, ma anche una pressione continua sul partito della Rifondazione, segnatamente sulla segreteria di Franco Giordano. Non è ancora facile stabile che tipo di scenario possa aprire questo tipo di innovativa apertura quasi «scacchistica». Solo qualche inguaribile ottimista pensa che ne potrebbe persino uscire un percorso di ricongiungimento con il Prc.

«Rinnovare la diversità comunista» sembra piuttosto il corollario di questa immagine identitaria che tiene il Pdci in vita. Diliberto ha spiegato di essere «orgogliosamente erede della diversità di Enrico Berlinguer». Sarà un caso, ma ancora due giorni fa Rizzo sottolineava come Bertinotti «comunista e berlingueriano non lo sia mai stato».

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