Dimissioni, sconfitte e crisi: ora a sinistra tutto è «nobile»

RomaDice Romano Prodi che glielo chiedono tutti quelli che lo incontrano allo skilift: «Ma chi comanda nel Pd?». Comprensibilmente, Pierluigi Bersani si irrita assai, ma dà una risposta diplomatica: «Per Prodi ho un affetto e un rispetto inattaccabili, anche quando dice cose su cui non sono d’accordo». E il segretario del Pd, signorilmente, evita di ricordare al Professore che l’ultima gigantesca buccia di banana su cui è capitombolato il Pd, il caso Delbono, è tutta farina del sacco prodiano: fu l’ex premier, infatti, a volere la designazione del suo protetto a sindaco di Bologna. E Delbono fu l’unico per cui Prodi fece campagna elettorale nel 2009.
Fatto sta che la malignità del Professore (ovviamente trasmessa via Repubblica) sulla carenza di leadership plana sul Pd in una giornata nera, con le dimissioni del sindaco di Bologna e la débâcle pugliese che occupano tutte le prime pagine. Bersani però tiene botta e difende con calore il principale obiettivo delle critiche di questi giorni, Massimo D’Alema: «È un combattente, un personaggio capace di girare i paesini in cerca di voti. I combattenti sono così, a volte perdono e a volte vincono, ma avercene come lui».
I dalemiani però restano sospettosi. Sanno che il segretario è assediato dalla minoranza interna, guidata dal capogruppo alla Camera Dario Franceschini, che spinge perché Bersani si smarchi dal colui che fu il suo principale sponsor, e apra a un governo più «collegiale» del partito e a una revisione della linea fin qui seguita: niente ammiccamenti e niente «dialogo» col centrodestra, meno inciuci con Pier Ferdinando Casini, opposizione più baldanzosa e sanamente anti-berlusconiana. Altrimenti sono pronti a quella sorda guerriglia interna che ha logorato già schiere di segretari, e - soprattutto se le regionali non andassero più che bene per il Pd - potrebbe logorare anche lui. Bersani che farà?
Così, nell’ala del partito più vicina a D’Alema, non è stata registrato con grande entusiasmo il duetto di Bersani ieri con Tonino Di Pietro. Prima un incontro tête à tête, poi una conferenza stampa congiunta per annunciare l’alleanza in 11 regioni su 13.
«Un’alleanza che ha una base solida, non solo per i rapporti fra di noi», si è slanciato Bersani. Basata su«comuni convinzioni politiche» e sull’esigenza che si lavori per coalizioni larghe, democratiche e competitive con il centrodestra». Le regionali sono una prima tappa «verso la costruzione di un’alternativa da offrire agli italiani». Di Pietro conferma: «Non possiamo lasciare il Paese a un governo che illude i cittadini, che toglie agli onesti per dare ai disonesti. Sentiamo il dovere di passare all’alternativa, insieme a chi capisce che non possiamo tornare a un regime piduista».
Un nuovo idillio, insomma, con Di Pietro che evita qualsiasi polemica e rassicura il Pd: non farà fretta là dove candidati e coalizioni non sono ancora definiti, «rispettiamo il processo di decisione del Pd», dice flautato.
Nessuna novità politica: l’alleanza con Di Pietro per le regionali era sempre stata data per scontata: è necessaria al Pd se vuole riuscire a centrare l’obiettivo di conservare almeno 7 regioni. Ma anche l’Italia dei valori ne ha bisogno se vuol riuscire a conquistare un po’ di poltrone per i suoi. I toni amichevoli però hanno insospettito qualcuno nel Pd, e hanno scatenato un immediato coro di attacchi dal centrodestra: «Le flebili speranze suscitate da Bersani sono svanite», rimpiange Sandro Bondi. «Bersani riscopre i toni dello scontro frontale e ricostituisce il fronte popolare con Di Pietro, per di più andandogli dietro», tuona Fabrizio Cicchitto. Ma anche un alleato del centrosinistra come il segretario del Psi, Riccardo Nencini, non apprezza per nulla: «La linea di Di Pietro è la miglior polizza elettorale che Berlusconi possa mai desiderare».


Intanto Bersani è alle prese con gli scontri interni che impediscono di chiudere le liste in tre regioni: Umbria (dove i veltroniani reclamano le primarie e non accettano candidati di mediazione), Campania (anche lì si sarà costretti a primarie fratricide tra Vincenzo De Luca e il candidato del suo avversario Bassolino) e Calabria, dove Agazio Loiero ha mandato all’aria l’intesa con l’Udc e vuole essere ricandidato.

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