Roma - È ufficiale: Lamberto Dini e i suoi parlamentari non aderiranno al Partito democratico. Motivo: sarà un partito egemonizzato dai Ds e dai Popolari con poco spazio per le idee liberali. Quella fra l’ex presidente del Consiglio e il sindaco di Roma sembra una separazione consensuale. Senza strappi o rotture. Anzi, per Dini, Walter è l’uomo giusto per guidare il Partito democratico. Ma lui, su quel carro non sale. Perché - dice - quel nuovo partito «guarderà a sindacati e cooperative, mentre noi guardiamo al lavoro autonomo, ai professionisti, al lavoro non sindacalizzato».
Perché il Pd, a livello europeo, avrà come punti di riferimento l’eurosocialismo, «mentre noi ci rifacciamo al liberalismo europeo». E pur augurando «ogni fortuna » al Partito democratico, Dini prevede che «non avrà successo, finché i partiti che lo fondano non si liberano della componente statalista ». Il veicolo sul quale farà viaggiare le proprie idee è Rinnovamento italiano, che Dini toglie dal freezer in cui l’aveva congelato al momento della nascita della Margherita. «E il 7 ottobre prossimo organizzeremo una grande manifestazione» per illustrare un vero e proprio programma politico, e non solo. Il programma di Dini è fatto di 12 punti: un dodecalogo come quello con cui Prodi ricompattò la maggioranza dopo la crisi.
Ma il filo conduttore del dodecalogo dell’ex premier è di stampo marcatamente liberal-democratico, «così come impone l’attuale livello di economia globalizzata». I punti del Programma sembrano tratti dall’Agenda di Lisbona, condivisa sulla carta sia da Veltroni sia dalla Casa delle libertà. Forse una coincidenza non voluta, anche perché il Consiglio europeo che fissò quell’agenda era stato preparato dalla presidenza di turno portoghese in collaborazione con la Commissione europea. E nel marzo del Duemila a p r e s i e d e r e quellaCommissione c’era Romano Prodi. Nel programma di Dini (e nell’Agenda) c’è così spazio per un allungamento dell’età pensionabile per uomini e donne; per una maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro, sulla scia del Pacchetto Treu (fra l’altro Treu non seguirà Dini nella non adesione al Partito democratico); e per un alleggerimento fiscale: il pareggio di bilancio dev’essere raggiunto - dice il dodecalogo - con il taglio della spesa corrente.
E fra questi tagli c’è quello delle Province, la riduzione del numero dei parlamentari e il superamentodel bicameralismo perfetto. Il primo banco di prova del ruolo di Dini (e dei diniani) sarà la legge finanziaria, che inizia l’iter parlamentare proprio dal Senato, dove Rinnovamento può contare su due voti sicuri (il suo e quello di Natale D’Amico): proprio quelli che assicurano la maggioranza al centrosinistra. «Noi restiamo nel centrosinistra - precisa l’ex premier - ma dopo che verrà formato il gruppo parlamentare del Partito democratico, il 27 ottobre prossimo, decideremo a quale gruppo aderire». E la possibilità che il gruppo misto si infoltisca sono alte. Circostanza che sembra non preoccupare Palazzo Chigi. Al contrario, la presidenza del Consiglio plaude alla scelta di Dini di restare nell’attuale maggioranza. Per quanto tempo, però, è tutto da vedere. L’ex premier infatti non firma assegni in bianco sulla legge finanziaria. E lo dice chiaro e tondo: se il Protocollo sul welfare entra in finanziaria e viene modificato, noi non votiamo a favore nemmeno se viene messa la fiducia.
E, parafrasando un vecchio slogan pubblicitario, precisa: «A scatola chiusa non votiamo nulla». Con la sua scelta, Dini si prende qualche critica dal centrosinistra.Maper la Casa delle libertà è coerente con le sue idee. «Oggi è lui la croce del governo», commenta Andrea Ronchi (An).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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