Scontato, forse. Se non fosse che assieme all’ex premier compare anche D’Amico, prodiano di rito parisiano e dunque molto stretto. Se Dini potrebbe perseguire una politica di stampo centrista e conservatore, dunque spesso sospettata di «intesa con il nemico» di centrodestra, la presenza del senatore ultraparisiano rende molto insidiosa la protesta. E la reazione a caldo della senatrice Marina Magistrelli, prodiana ante-litteram e vestale di purezza ulivista, lo dimostra. Non vuol credere all’ennesimo colpo subito dal nascente Pd, non accetta lo sfarinamento che sembra ormai raggiungere il nocciolo duro del prodismo. «Non ne sapevo niente, ma è sicuro che c’è anche Natale? Sìì? Comprendo la loro amarezza rispetto a un sogno che non si sta realizzando come avremmo voluto. Ma io ho scelto la strada di restare e combattere per realizzarlo e voglio sperare di averli ancora accanto. Non può finire così. Ma non possiamo fare finta che niente sia accaduto».
No, qualcosa di grosso sta accadendo. La lotta tra apparati ds-dl sta esplodendo e, man mano che l’asse tra i vertici si solidifica verso l’incoronazione di Veltroni, sembra stringersi il cappio al collo del premier. Il Pd, intanto, si manifesta come «compromesso storico-bonsai».
Se Dini ieri è stato impegnato allo spasimo nella raccolta di adesioni al suo Manifesto (Valerio Zanone non l’ha firmato solo per rispetto dei liberali che ormai in lista per le primarie), D’Amico si è ritenuto fedele a una «consegna del silenzio stile Bankitalia», limitandosi a spiegare che l’«insoddisfazione è vasta e profonda», tocca «l’identità stessa del nuovo Pd, la latitanza della discussione sul merito delle proposte e dei contenuti, sulle regole e sulle primarie...». Insomma, «è il nostro giudizio negativo sul percorso compiuto fin qui, sui riferimenti sociali e politici, sull’incerta collocazione internazionale del partito...». «Aveva ragione il socialista Boselli: è un compromesso storico-bonsai - ribadisce Willer Bordon -. La prima volta pensavo che fosse stato un po’ eccessivo, oggi ammetto che è stato persino troppo buono». Bordon e Roberto Manzione sono altri due senatori di peso (il primo addirittura capo al Senato del gruppo Margherita-Ulivo nella scorsa legislatura) che hanno appena lanciato l’«Unione democratica»: un movimento che guarda ai consumatori e al «grillismo» e che troverà la sua prima convention il prossimo 29 settembre al cinema «Capranica». Ma se non si ha voglia di seguire, grancassa in mano, la processione veltroniana fino al rito del 14 ottobre, dove si dirigeranno gli ormai numerosi transfughi del Pd? Bordon, che pure ha idee chiare, non sa dire: «Lasciamo che le cose accadano». Però la sua crudele analisi sul Pd «è addirittura più benevola di quella che fa Parisi»: una stagione si sta chiudendo, spiega l’ex capogruppo ulivista, che considera «un’impostura quello che chiamano Pd», nonché un’ «operazione conservatrice made in Taiwan». «Taroccate» sono le primarie per incoronare una persona già scelta dalla «somma di due apparati in difficoltà», cui «generosamente Veltroni sta dando una mano, ma con dei contenuti insufficienti e dorotei». Eppure se non lì, dove si va? Per il momento, il «numero magico» per la creazione di un nuovo gruppo a Palazzo Madama ci potrebbe essere, perché Dini (3) più Bordon (2) più Angius, Montalbano e Barbieri fanno già otto e arrivare a dieci è un gioco da ragazzi. Due «in prestito» oppure «convinti» si trovano, come si sa, a ogni angolo di buvette.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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