Luigi Mascheroni
Ha girato mezzo mondo, seguendo orme di dinosauri in Niger, a caccia di fossili nel deserto del Tenerè, a decifrare le incisioni rupestri a Wadi Rum, in Giordania - «il luogo più bello della terra» - ad acquistare resti di mammiferi della Pampa, in Argentina, e a ordinare terracotte Tang, in Cina. Eppure oggi adora stare rintanato nella sua casa, dietro alla Fiera, che è già un piccolo museo tra libri antichi, trattati scientifici, atlanti, conchiglie, riproduzioni di stegosauro in scala, maschere africane, stampe, microscopi depoca, fossili e corna di gazzella.
Giovanni Pinna ha 67 anni, trentadue dei quali passati dentro al Museo di Storia naturale di Milano, prima come conservatore di paleontologia poi come direttore. Una straordinaria avventura umana e scientifica che racconta nella sua autobiografia Animali impagliati e altre memorie (appena pubblicata da Jaca Book) ricchissima di aneddoti, ricordi, riflessioni sulla funzione del museo, incursioni nella storia delle scienze naturali, a suo modo diario di viaggio nelle periferie del pianeta, senza trascurare i toni da polemista sulla gestione del patrimonio culturale in Italia. «Lasciai il Museo di Storia naturale, al quale ho dato metà della mia vita, con qualche anno di anticipo sulla fine del mandato, nel 96, perché cominciavo a non sopportare più le fatiche burocratiche che dovevo affrontare ogni giorno: carte da firmare, documenti da far girare, dieci timbri per la richiesta di acquisto di tre matite... Non cè niente da fare, è una questione di mentalità, tutta italiana».
Quando se ne andò, una decina danni fa, Giovanni Pinna riconsegnò alla città le chiavi di un museo che ormai era tra i sette maggiori di storia naturale dEuropa, un vero gioiello. Quando ci entrò la prima volta, nel febbraio del 64, giovane paleontologo dal corposo curriculum accademico, il museo di corso Venezia, fondato nel 1838, era invece lombra di se stesso. «Non si era ancora del tutto risollevato dai bombardamenti durante la guerra. Si era salvato pochissimo e quel poco era in condizioni disastrose, senza fondi e poco personale. Da anni era pressoché immobile. Con pazienza rimettemmo mano al materiale superstite, riordinammo le collezioni, si iniziò a comprare nuovi espositori, ad aggiornare la biblioteca, e soprattutto ad accrescere lesposizione, portando al museo nuovi pezzi». Un lavoro immenso, difficile ed entusiasmante. Nel 69 Pinna diventa vicedirettore e nell81 direttore: a questo punto inizia a pianificare una profonda riorganizzazione dellistituto, sfruttando lesperienza accumulata e le conoscenze acquisite studiando lorganizzazione di molti musei nel mondo. Cambia lallestimento delle sale basato su criteri ormai superati inserendo molti diorami (le ricostruzioni di ambienti naturali, uno dei mezzi di comunicazione più efficace per il visitatore), riorganizza le collezioni in modo più moderno («Oggi le città chiedono allarchitetto di progettare i propri musei, ma è un errore. È chi ci lavora dentro che lo deve pensare, perché conosce le esigenze e i problemi che larchitetto semmai può interpretare»), grazie alle sue relazioni personali inserisce il museo milanese nella comunità scientifica internazionale, aumenta il numero e la qualità delle collezioni riuscendo a strappare più fondi allamministrazione comunale e gestendo al meglio la cassa («Il modo migliore per ottimizzare le risorse è tenere sotto controllo le spese: per me è stata una regola basilare») e soprattutto, apre il più possibile al pubblico con i cicli di conferenze, la didattica e le visite guidate.
In oltre trentanni di lavoro nel suo museo, Giovanni Pinna ha acquistato lo scheletro di un allosauro (a Salt Lake City, nel 67), ricostruito un triceratopo, catalogato migliaia di conchiglie e insetti, imbalsamato ippopotami, recuperato lo scheletro di un gigantesco capodoglio... «È uno dei ricordi più belli. Era l88, maggio. Un venerdì ci telefonano da Forte dei Marmi dicendo che era stato trovato sulla spiaggia un capodoglio lungo 12 metri e di 18 tonnellate di peso. Non sapevano come disfarsene, volevano sotterrarlo lì, o ributtarlo in mare e prenderlo a cannonate. Io dico: lo portiamo al museo. E lì è iniziata lodissea. Parto con due zoologi per la Versilia, riesco a convincere le autorità locali a mettermi a disposizione un autoarticolato e due gru per caricare la carcassa. Lo trasportiamo a Milano di notte mentre già inizia la putrefazione. Lassessore al commercio ci mette a disposizione una zona dismessa del macello pubblico e lì, mentre lufficiale sanitario fa finta di niente e i pompieri chiudono tutte due gli occhi, prima lo scarnifichiamo, tenendo gli organi interni e mandando allinceneritore la carne, poi per pulire le ossa dal grasso, le facciamo bollire. Ma come si fa con lo scheletro di un animale così, che solo il cranio misura tre metri e mezzo? Abbiamo acquistato una vecchia autocisterna, labbiamo tagliata in due orizzontalmente e ne abbiamo ricavato unenorme pentola, e poi abbiamo acceso sotto il fuoco... Furono giornate epiche, mi creda. Ma tutto questo dimostrò lautorevolezza acquisita dal museo, visto che tutte le autorità si fecero in quattro per aiutarci». Oggi, a ripagare quella fatica e quei rischi, lo scheletro del capodoglio accoglie i visitatori al primo piano dellistituto.
Giovanni Pinna, uno per il quale lunica passione è il proprio lavoro, da quando ha lasciato il museo - un addio con pochi rimpianti e molto orgoglio - ha continuato a scrivere, studiare e soprattutto a insegnare agli altri come si fa un museo: ha pubblicato libri, è stato presidente del comitato italiano dellInternational Council of Museums che collabora con lUnesco nella gestione del patrimonio museale nel mondo ed è stato consulente del museo di Xian, in Cina, dove ha lavorato allesposizione delle tombe reali della dinastia Tang, del Museo nazionale dellIran, a Teheran, dove è sprofondato negli abissi del tempo fino al VI millenio avanti lera volgare, di quello di Damasco, dove ha avuto per le mani le tavolette cuneiformi della città di Ugarit, del museo di Campo Grande, in Brasile, per sistemare la gigantesca collezione di oggetti indios...
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