Controcultura

Il "Dio della guerra" contro i bolscevichi

Il "Dio della guerra" contro i bolscevichi

Il «Dio della guerra», veniva chiamato dai suoi soldati il Generale Roman Fedorovic von Ungern-Sternberg, noto anche come il «Barone sanguinario», protagonista di almeno tre biografie romanzate e di un'avventura di Corto Maltese, il celebre Corte Sconta detta Arcana, ambientato durante la guerra civile russa. Ma, nonostante la ricca produzione narrativa che ha ispirato, quella di Ungern-Sternberg è una figura le cui avventure della vita reale superano quelle immaginate, come dimostra Il barone Ungern. Vita del Khan delle steppe, di Leonid Juzefovic (Edizioni Mediterranee), prima biografia scritta da uno studioso russo e tradotta in italiano.

Bizzarro e crudele, il leader di una variopinta armata antibolscevica ha lasciato un «caldo ricordo della sua a volte brutale violenza di capo feroce», come racconta uno dei sette testimoni oculari che immortalarono le gesta del Generale al servizio dello Zar qui rievocate in un contesto che non ha nulla di romanzesco, tranne il fascino di una vita esageratamente intensa, «una delle tante storie di gloria e brigantaggio nella quale si è sminuzzata la grande tragedia della Siberia», come scrisse il grande Mario Appelius. Luogotenente dell'atamano Semionof, poi comandante di un'armata bizzarra e multietnica, nel 1921 il Barone Ungern conquista, con truppe molto inferiori di numero, la città di Urga, oggi Ulan Bator. Il massacro che ne seguì gli diede fama immortale, rievocando le tragiche ma grandiose imprese di Tamerlano e Gengis Khan. Autoproclamatosi «Unno», aveva in realtà sangue europeo, e uccideva non per gusto sadico, ma per lucida convinzione che la crudeltà fosse l'unico modo per opporsi efficacemente alla «perversa malattia infettiva» chiamata bolscevismo. Tradito e poi abbandonato, nell'autunno 1921 viene arrestato da una pattuglia di rossi e tradotto davanti a un tribunale rivoluzionario al quale si presenta come l'Imperatore dei Mongoli. Condannato a morte, viene fucilato quasi immediatamente.

Di lui, oggi, resta uno stivale, custodito nel museo storico di Ulan Bator e quasi ignorato dai pochi e distratti visitatori, che sicuramente non immaginano di trovarsi davanti alla reliquia di un monaco guerriero, un asceta crudele e inflessibile, un vinto dalla Storia, sul quale, eccezionalmente, non è calato il sipario dell'oblio, ma si sono accese le luci, postume, della ribalta.

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