Il ministro Brambilla che, oltre ai problemi relativi al suo dicastero (il Turismo), è sempre in prima fila nelle battaglie per il benessere degli animali, ha scoperchiato quello che gli anglosassoni chiamano «a can of worms» (un barattolo di vermi). È di questi giorni la decisione del parlamento catalano di abolire la corrida, un fatto di portata storica, direi epocale per un Paese che ha chiesto all'Unesco di inserire la tradizione cara a Hemingway nel patrimonio culturale dell'umanità. Per fortuna la sensibilità delle persone, nei confronti dei diritti animali è profondamente cambiata negli ultimi decenni e soprattutto le giovani generazioni, mostrano maggior spirito critico nei confronti di spettacoli che onoreranno la tradizione, i santi e le madonne, ma indignano per la violenza e la crudeltà nei confronti degli animali, sfruttati in rituali che gli occhi di chi rifiuta la brutalità e la mancanza di pietas non possono più vedere.
Se la Spagna è la patria della corrida (in realtà l'«invenzione» è tutta romana), degli animali gettati vivi dai balconi, inforcati e massacrati nelle mille feste tradizionali di Paesi ignoti, l'Italia è la patria dei palii. Come ha ricordato il ministro ce ne sono di tutti i tipi, ma il minimo comun denominatore è la sfruttamento, talora violento, sempre indignitoso degli animali che sono obbligati ad essere primi attori: cavalli, asini, oche, maiali, colombe, persino rane costretti a esibirsi in attività che li rendono ridicoli, davanti a migliaia di bocche sgangherate che ridono delle loro miserie.
Se i cavalli «spaccati», e poi soppressi, nella madre di tutti i palii (quello di Siena) o nei suoi rampolli minori (Ferrara, Feltre, Asti ecc.) fanno notizia, non raggiungono certo le colonne dei giornali o dei talk show le mille manifestazioni locali, spesso fuori dalla legalità, che massacrano gli animali sull'asfalto rovente o nei calanchi scoscesi di terreni rocciosi.
È ora di dare al mondo un segno di maggiore civiltà e, visto che siamo un Paese ad altissima vocazione turistica, bene fa il ministro Brambilla a sostenere che maltrattamento e sfruttamento animale non siano un must del made in Italy, ma il retaggio di tradizioni da dimenticare, devolvendo i contributi pubblici a chi evita accuratamente la violenza (non solo quella fisica) in favore di manifestazioni dove anche la dignità di una piccola e apparentemente insignificante rana venga rispettata.
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