Nella corrispondenza che fiorisce dal confronto con i lettori su queste pagine, qualcuno mi chiedeva quali fossero le priorità di valore su cui far riflettere laici e credenti, in vista di una possibile convergenza. La risposta mè venuta dalla lettura di un agile volumetto, edito da Cantagalli, di cui è autore Stefano Fontana, unacuta mente creatrice di cui la politica sembra non essersi ancora accorta. Il libro ha per titolo: Per una politica dei doveri, dopo il fallimento della stagione dei diritti.
In sostanza, lautore sostiene che è tempo di riscrivere la grammatica della vita, con regole comuni che delimitino la misura dei diritti, perché è solo a partire dai doveri che trova misura la libertà individuale.
Papa Giovanni Paolo II nel 2003 diceva: «Unosservazione deve essere ancora fatta: la comunità internazionale, che dal 1948 possiede una Carta dei diritti della persona umana, ha per lo più trascurato dinsistere adeguatamente sui doveri che ne derivano. In realtà, è il dovere che stabilisce come i diritti debbano contenersi, perché non si trasformino in arbitrio».
Potrebbe sembrare una lettura un po forzata, quella fatta da Fontana. In effetti, se noi ci guardiamo intorno, scopriamo che moltissima gente soffre ancora per la mancanza di riconoscimento dei diritti fondamentali.
Paradossalmente sono proprio loro, i poveri del mondo, che confermano la verità della tesi. Alcuni non godono dei beni più elementari, perché altre persone nel mondo hanno accelerato talmente la corsa ai diritti di ultima generazione, da trasformare ogni loro desiderio in diritto. Emerge qui tutta lambiguità di una libertà fine a se stessa, sganciata da ogni riferimento di valore condiviso e di responsabilità comune. È lassenza della grammatica della famiglia umana che ha introdotto una sorta di logica della giungla a vantaggio dei più forti e fortunati.
Non si tratta di negare i diritti ovviamente, quanto di capire che senza la cultura dei doveri, i diritti si avvitano su se stessi, si elidono a vicenda.
Qualcuno, in questa priorità del dovere, potrebbe intravedere una sorta di moralismo, come se la legge morale avesse una sua irrazionale priorità. Potremmo domandarci: perché non è sufficiente la complementarietà, cioè riconoscere un diritto per ogni dovere? Potrebbe sembrare logico, ma non è sufficiente. È facile, infatti, inventarsi artificialmente un dovere da cui fare scaturire un nuovo diritto. In Italia laborto è contemplato in una legge che parte dal dovere di accogliere la vita. Leutanasia viene motivata col dovere di non far soffrire, la volgarità in televisione con lobbligo di far divertire la gente, laggressività informativa con il dovere di portare i cittadini a conoscenza dei fatti.
La nostra società, in realtà, sta morendo di diritti, moltiplicati allinfinito, dentro la logica che tutto ciò che si può fare si deve anche fare, senza alcun limite o riserva morale, dove il desiderio rischia di diventare il padrone che detta il calendario del possibile.
Potremmo allora andare verso qualche abbozzo di conclusione, chiedendoci: su quali frontiere è dato di trovare una sintonia tra credenti e non credenti? Il richiamo del Presidente della Repubblica a trovare modalità di dialogo tra politica e chiesa sui grandi temi della famiglia, spinge a cercare le comuni frontiere dei doveri che riguardano la vita, perché è evidente che quando si intacca questo ambito tutti gli altri, a cascata, vengono indeboliti.
Un secondo filone porta a valutare la strada da percorrere per una autentica integrazione sociale. Penso, in particolare, al fenomeno dellimmigrazione. Si percepisce talvolta una sprovveduta e superficiale demagogia nelle dichiarazioni politiche a favore degli immigrati, come se il loro inserimento dipendesse dal riconoscimento dei soli diritti.
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