Caro dottor Lussana, mi permetto di intervenire in merito alla questione delle «nuove regole per le escursioni pericolose» trattata con ampio spazio ne Il Giornale dal signor Carlo Caporali.
Comprendo i motivi che possono spingere la maggioranza dei cittadini a richiedere queste regole, e sono anche certo che almeno qualche regola vada messa, ma ritengo anche che ogni cittadino abbia il diritto che gli sia garantito il «diritto al rischio». Non voglio tediarla più di tanto, ed accorcio il mio discorso allegandole un mio pezzo apparso nel periodico dellAssociazione che ho co-fondato e che ancora coordino, già a suo tempo a commento di un articolo apparso in cronaca nazionale de Il Giornale (di cui sono un affezionato lettore).
Concludo dicendole che lAmerica è la patria della libertà, e che proprio in America è stato riconosciuto, almeno, di fatto, e/o con provvedimenti gestionali, il «diritto al rischio» di cui parlo. Io stesso è una vita intera che pratico questo diritto, perché quasi mai amici o parenti hanno saputo (e sanno) quali fossero (siano) le mie escursioni che frequentemente effettuo in montagna, gole, boschi, ecc... So di rischiare, e lo accetto. E ritengo che questo mio diritto mi sia assicurato, senza che lo voglia imporre agli altri. Daltronde, ogni giorno rischio mettendomi alla guida della mia auto, ed accetto questo rischio per le comodità che esso mi dà. Perché non dovrei accettare il rischio di perdermi o di rischiare in montagna, se questo rischio rende emotivamente più gratificanti le mie escursioni?
Con stima.
Segretario Generale Aiw
Gentile Signor Zunino, è certamente degna di interesse la sua replica alle argomentazioni - comunque legittime - del lettore Carlo Caporali sulle escursioni pericolose. Mi consenta di aggiungere solo una piccola chiosa, anche nella presunzione che lei, attento lettore del Giornale, abbia già dato una scorsa, oltre che alla lettera di Caporali, a un mio pezzullino sullargomento, pubblicato allindomani della drammatica avventura capitata a un gruppo di escursionisti sul monte Aiona. Il «mio debol parere» sarebbe che il diritto al rischio ha un limite nel rischio che si fa correre agli altri - leggi: i soccorritori - nel preciso momento in cui chi esercita il diritto al rischio incorre in un incidente. È, in fondo, come per la libertà: posso, devo, pretendo di fare come voglio, finché non ledo la libertà altrui. Non basta accettare le regole del gioco, è obbligatorio non coinvolgere gli altri. E questo, riconosciamolo, non sempre avviene... In ogni caso, credo che il rischio sia bello e formativo se è commisurato alle proprie capacità fisiche e psichiche, e al bagaglio di esperienze acquisite. Non mi permetto certo di suggerirlo a lei che frequenta gagliardamente montagne, gole e boschi.
Ferruccio Repetti
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