Le disavventure dello skipper D’Alema con l’Ikarus II

A bordo della sua barca di 18 metri il vicepremier sbaglia manovra e sbatte contro altre imbarcazioni nei porti di San Vito e Favignana

Paolo Bracalini

«Guardi, ministro, che con questo vento è meglio non uscire». Raffiche di trenta nodi spazzano il porto di San Vito lo Capo, nord di Erice. È la vigilia di Ferragosto. D’Alema vuole passarla in mare ma tira aria da tempesta. Allerta della capitaneria: roba da marinai di professione. Ma non c’è niente da fare, uno skipper di lungo corso come lui non rimane a terra per così poco. Così, sicurissimo della sua perizia nautica, il vicepremier D’Alema sale sul suo Ikarus II, barca di 18 metri costruita su misura dal progettista triestino Roberto Starkel - la «Maserati» delle barche a vela, dicono gli esperti - e alza le vele per prendere il largo. Molla le cime, si parte. Avanti piano, via così. Vira, vira, viraaaa. Bum! Primo botto. La barca di D’Alema centra in pieno un motoscafo ormeggiato nel porticciolo siciliano. Altra manovra, mentre il vento gonfia la vela e lungo il molo comincia a radunarsi una folla, incuriosita dalla gag di quel velista coi baffi. Bum! Secondo botto. L’Ikarus si incaglia in mezzo ad altre barche. Comincia a fare ping pong tra gli scafi, cocciando qua e là. Un’imbarcazione, racconta chi ha visto, viene danneggiata in modo abbastanza serio.
Il leader Ds è in palla. Va di bolina, vira, poi stramba. Niente. L’Ikarus è senza controllo. Il suo giubbotto da mare ipertecnologico, regalato da Piero Fassino, non serve a niente. Uno degli spettatori va a prendere una videocamera e filma la scena. Che fa il ministro degli Esteri? È lì, messo in crisi dalle acque placide del porticciolo, neanche fosse una tempesta nell’Atlantico. La polizia si accorge che quello skipper in panne è il vicepremier. Si mobilitano le forze dell’ordine per riparare alla figuraccia e arriva finalmente una barca che, con una cima, rimorchia l'Ikarus II trascinandolo aL largo. «Ha peccato di presunzione - dice un testimone -. Con un tempo così è difficile uscire dal porto con le vele».
Lezione imparata? No, perché la domenica successiva la scena si ripete. A Favignana questa volta. Mare grosso e vento di tramontana. L’eco della disavventura ferragostana di D’Alema a San Vito è arrivata fin lì. Ragion per cui qualcuno si prepara al bis, quando D’Alema fa per salpare dal porto. E infatti bissa, con una manovra impacciata sbanda, va a cozzare, si ferma, riparte, perde il controllo. Altri tentativi goffi, fino all’uscita dal porto.
Finora l’Ikarus, in acqua, non aveva mai tradito D’Alema. Fuori dall’acqua, invece, quella barca lo tormenta. Fin da quando Fabrizio Rondolino, all’epoca suo consulente per la comunicazione, pensò di adoperarla per svecchiare l’immagine di D’Alema e renderlo più simpatico, lasciando intravedere una passione dietro il proverbiale contegno dell’uomo, che confina col gelo. Da allora quella barca a vela gliel’hanno rinfacciata tutti. Prima i suoi compagni che rimpiangono l’austerità di Berlinguer, gli ex colleghi dell’Unità, la sinistra pauperista. Quando ancora era in cantiere l’Ikarus II, erede del primo scafo dalemiano, già lo sfottevano. «Ecco la barca miliardaria di D’Alema». Fu costretto a replicare a Liberazione. «Caro direttore - scrisse a Sansonetti -, la barca miliardaria di D’Alema non esiste. Sono iniziati dei lavori in un piccolo cantiere. Già questo è curioso: che per montare “lo scandalo” non si attenda neppure l’esistenza dell’oggetto». Oggetto che gli verrà consegnato invece nell’estate del 2004, ma senza che avesse fine la querelle.

Perché l’Ikarus II doveva ancora navigare sulle acque perigliose di Bancopoli, avendola comprata D’Alema con un leasing da 8mila euro al mese concesso proprio dalla Banca Popolare di Fiorani, quella dei «furbetti». Adesso sembra che l’Ikarus voglia creargli grane anche in mare.

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