La disfatta di Woodcock: salta la trappola anti Cav

Squilli di tromba e poi flop: un marchio di fabbrica per il magistrato napoletano sempre a caccia di riflettori. gli atti passano alla Procura di Roma. Ma per Woodcock non è il primo fallimento

La disfatta di Woodcock: 
salta la trappola anti Cav

Rieccolo: squilli di tromba e poi il flop. Dev’essere un marchio di fabbrica per Henry John Woodcock. Inchieste clamorose, con personaggi altisonanti rotolati nella polvere, naufragate sull’incompetenza; imputati trascinati in manette e poi assolti o inquisiti e rovinati prima di essere scagionati. Ora ci risiamo: la strombazzatissima indagine sulla presunta estorsione al Cavaliere, figlia e doppione di quella barese su Gianpi Tarantini e le sue escort, viene dirottata dal gip a Roma. Napoli non può più indagare, esattamente come molte persone dotate di normale buonsenso avevano detto e scritto nei giorni scorsi. Questa volta la responsabilità dell’errore, un errore che ha tenuto col fiato sospeso l’Italia intera imbullonata sul presunto ricatto al Cavaliere, dev’essere divisa: è di Woodcock come degli altri pm e del procuratore capo Giovandomenico Lepore che hanno condiviso scelte e percorsi investigativi. E Roma potrebbe pure andare avanti sulla linea stabilita dalla magistratura campana.

Ma questo non attenua le obiezioni che, senza voler condurre crociate, nascono spontanee: perché Napoli ha tenuto un fascicolo che raccontava una storia collocata ad altre latitudini? Nessuno vuole mettere in discussione l’abilità di Woodcock, e dei suoi colleghi, nel trovare notizie di reato. Però i fatti, anzi i misfatti, si ripetono. A distanza di anni. E il copione pare sempre lo stesso.
Il 16 giugno 2006 Woodcock, naturalmente con l’ok del gip che ha firmato gli arresti, mette a soqquadro l’Italia. Finisce in cella persino il principe Vittorio Emanuele, figlio dell’ultimo re d’Italia Umberto. I Savoia, già condannati dalla storia, diventano addirittura i protagonisti di una saga delinquenziale, a base di prostitute e corruzione sullo sfondo del casinò di Campione.

Nel 2006 Woodcock non è ancora a Napoli, alla corte di Lepore, ma nella più periferica Potenza. Cambia, di poco, la geografia, ma non la sostanza. Con Vittorio Emanuele viene arrestato il sindaco di Campione Roberto Salmoiraghi, bloccato dalla polizia in smoking mentre sta per partecipare ad un galà. Anche per lui le accuse, tenute insieme da quel reato-omnibus che è l’associazione a delinquere, sono gravissime. Salmoiraghi chiude il suo studio di medico, deve dimettersi da sindaco, subisce le umiliazioni classiche del detenuto. Qualche tempo dopo, Potenza divide in pezzi la sua inchiesta e li smista, perché in tutto questo tourbillon la Basilicata c’entra poco o niente. È un classico. Ma è solo il primo passo.

A Como ricevono le carte che riguardano l’ormai ex sindaco e, caso davvero rarissimo, archiviano senza se e senza ma: il grappolo di contestazioni è debole, ma così debole che non vale nemmeno la pena di andare a processo. O almeno provare a scavalcare l’ostacolo dell’udienza preliminare. I faldoni di casa Savoia vengono smembrati fra diverse procure e il principe colleziona proscioglimenti e assoluzioni su tutta la linea. L’imprenditore Ugo Bonazza, intercettato al telefono con Vittorio Emanuele per un anno e mezzo, vince tre round su tre: a Como, a Roma e ancora nella Capitale. Non a Potenza dove, tanto per cambiare, non è rimasto niente. Un infortunio?

Strano. Perché nel 2002 nel solito carcere di Potenza viene parcheggiato un imprenditore che a Roma ha un certo nome: Luigi Sparaco, titolare della Sparaco Spartaco spa. È l’impresa di costruzioni che ha realizzato nella capitale gli uffici giudiziari di piazzale Clodio e la sede della Biblioteca nazionale, ma il blasone viene spazzato via dalle accuse. I giornali descrivono l’ingegner Sparaco come uno che va in giro con le valigette per ottenere gli appalti pubblici. Curioso: anche questa volta Woodcock si accorge che la competenza non è sua. Passa il malloppo a Roma e a Roma dopo anni e anni di un processo lento e snervante Sparaco viene assolto. Peccato che intanto l’impresa di famiglia sia stata chiusa.

Come la Visetur, un’agenzia di viaggi della capitale. Il patron Mattia Fella si ritrova nei guai per truffa, corruzione e associazione a delinquere. La Visetur diventa un titolo sui quotidiani e cola a picco. I cinquanta dipendenti finiscono sul lastrico. Il resto sembra la fotocopia delle vicende precedenti: il trasferimento per competenza a Roma. E poi un mucchietto di assoluzioni.

Fella oggi vive negli Stati Uniti: l’Italia è per lui, come per Vittorio Emanuele, una spina dolorosa.

Ma la catena di montaggio creata a Potenza funziona ancora. E quel che è accaduto al principe e agli imprenditori si ripete col Cavaliere.

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