La Disney ci ripensa: «Distribuiremo il kolossal sui Maya»

La major ha perdonato il regista: «Le sue scuse ci bastano». Apocalypto nelle sale il 18 dicembre

Silvia Kramar

da New York

Il suo mea culpa è bastato. Dopo essere stato fermato, la notte del 28 luglio, in stato di ebbrezza al volante della sua auto e dopo aver urlato in faccia ai poliziotti di Beverly Hills gravi epiteti antisemiti, Mel Gibson ha chiesto scusa agli ebrei di Hollywood e si è salvato. In un’industria del cinema americano fondata, negli anni Trenta, fa un piccolo gruppo di ebrei dell’Europa dell’Est, molti hanno preferito chiudere gli occhi davanti alla scenata di un regista che, in manette, ha urlato di essere il «padrone di Beverly Hills». E che forse lo è veramente.
Dopo vari ripensamenti, anche la Disney ha confermato di voler distribuire il suo nuovo kolossal, Apocalypto, sulla storia dei Maya. Nei giorni scorsi molte voci avevano sostenuto che la Disney avrebbe fatto marcia indietro e annullato il contratto di distribuzione di questo thriller completamente finanziato dal regista de La Passione e girato in Messico in lingua Yucatec, un antico dialetto dei Maya. Anche la cancellazione della miniserie televisiva sull’Olocausto faceva presagire tempi duri per Gibson. La rete televisiva Abc, di proprietà della Disney, aveva annullato il contratto offerto al regista australiano per una miniserie sull’Olocausto, dichiarando che erano passati due anni e che, nel frattempo, Gibson non aveva ancora cominciato a girare. Ma è chiaro che le ragioni della rottura erano da ricercare nella inopportunità di affidare un serial sulla Shoah a un cineasta come lui. Tanto più dopo l’infortunio delle famose frasi antisemite. Ma la casa cinematografica, che qualche anno fa aveva commesso l’errore di rifiutare la distribuzione del controverso La Passione, stavolta ha deciso di non rischiare. Gibson vende e fa discutere e la portavoce dello studio del mitico Walt, Heidi Trotta, ha ufficializzato l’uscita di Apocalypto il 18 dicembre col marchio di Topolino.
Dopo l’errore compiuto con La Passione (incasso record di 600 milioni di dollari), anche l’ebreo Oren Aviv, presidente della distribuzione Disney, ha preferito perdonare Mel. «Abbiamo ancora una profonda stima per Gibson», ha annunciato all’indomani del suo fermo, Aviv: «il regista si è scusato e abbiamo accettato il suo sincero rimorso». Quella stretta di mani a poche ore dall’arresto di un Mel Gibson così ubriaco da rischiare la prigione, si è poi trasformata in un perdono a suon di dollari: i sondaggi sul comportamento del regista australiano sono più seguiti di quelli relativi a George Bush.
Alla decisione della Disney di perdonare Gibson ha contributio anche l’entusiasmo con cui la Liongate si era gettata a sostituirli. La piccola casa cinematografica è diventata famosa proprio distribuendo film scomodi: era stata proprio la Liongate a sdoganare due film scartati dalle major, Dogma del regista Kevin Smith e Farenheit 9/11 di quel Michael Moore anche lui boicottato dalla Disney e anche lui campione di incassi al boxoffice con la sua dietrologia sull’attentato alle Torri gemelle. Così mentre Gibson mantiene un saggio basso profilo e promette di farla finita con l’alcol, il suo nuovo film naviga verso il successo. Anche Bruce Davey, responsabile della sua casa di produzione chiamata Icon Picture, è sicuro che Apocalypto sarà un best seller.
Ma ciò che sorprende non è forse il ripensamento della Disney, quanto il silenzio con cui Hollywood ha accettato i commenti profondamente antisemiti di Gibson. Nella capitale del cinema mondiale, dove gli israeliti sono la maggioranza, solo Amy Pascal, presidentessa della Sony, ha avuto il coraggio di dichiarare: «Che tristezza, questo inaspettato Mel. Soprattutto coi tempi che corrono».
Sul Washington Post il critico Ruth Marcus ha infine osato domandare ai lettori: «Se Gibson avesse fatto un simile commento sui neri, l’America forse non sarebbe insorta?».
Ma il potere del regista de La Passione è notevole. «Qualsiasi cosa si dica, la carriera di Mel non è affatto a rischio», scrive Liz Smith, autorevole columnist del Post. «Ha cinquant’anni e si diverte a fare dei film incredibili usando lingue arcaiche e sconosciute».
Alla sua età non è più un bad boy del cinema ma un multimiliardario così sicuro di sé da criticare pubblicamente i gay e gli ebrei. E perfino sua moglie: della madre dei suoi sette figli, che non è cattolica ma anglicana, Gibson dice tranquillamente che finirà all’inferno.

Prosegue la Smith: «Se questo di Mel sarà un bel film, andiamolo a vedere e lasciamo che a giudicarlo sia il paradiso, dove lui è così sicuro di arrivare». Quanto all’aldiqua, per adesso la potente Disney ha deciso di chiudere un occhio. E, con l’altro, guardare alla cassa.

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