Il tasso di disoccupazione in Italia è salito a ottobre all’8,7% dall’ 8,4% di settembre, il livello più alto dall’inizio delle serie storiche nel gennaio 2004. Nella media del terzo trimestre il tasso di disoccupazione risulta invece pari all’8,3%, in un calo dall’8,4% del secondo trimestre. Si tratta della prima discesa a livello congiunturale dopo sette trimestri di crescita. Ancora critica la situazione tra i giovani, con il 24,7% senza lavoro.
Una notizia cattiva e una buona. La disoccupazione in Italia è aumentata in ottobre dello 0,3% su settembre, passando dall’8,4 all’8,7% della forza lavoro, che è rimasta invariata. Il dato di ottobre contrasta però con quello del terzo trimestre in cui la disoccupazione è diminuita dello 0,1% rispetto al secondo passando dall’8,4 all’8,3%. Si tratta di indagini campionarie e queste piccole oscillazioni hanno uno scarso significato potendo rientrare nel margine di errore statistico. Comunque, a prima vista, se ne potrebbe desumere che, di colpo, in ottobre l’occupazione è peggiorata, mentre l'export e in genere l’industria in tale periodo registrano un, sia pure limitato, miglioramento. La cassa integrazione, in effetti, ha registrato una diminuzione di ore pagate.
Sembrerebbe che ci sia una contraddizione fra questi dati positivi e l’aumento della disoccupazione d’ottobre. Ma a una lettura più dettagliata emerge che in ottobre l’occupazione è rimasta eguale a quella di settembre e che la disoccupazione è aumentata di 0,3% perché sono aumentate le richieste di lavoro. In sostanza, il risveglio della produzione ha generato la sensazione che adesso ci sia una maggior possibilità di avere lavoro e s’è invertita la tendenza precedente di riduzione delle domande di occupazione, dovuta alla supposizione che i posti fossero scarsi.
La disoccupazione aumenta non solo quando si riduce l’occupazione, ma anche quando aumenta la forza lavoro o per ragioni demografiche o perché ci sono più immigrati o perché ci sono più domande di lavoro. E il numero di queste domande varia anche in relazione alla entità dell’economia sommersa, che si accresce quando la congiuntura è difficile, essendo un modo per consentire alle imprese di sopravvivere, mediante rapporti di lavoro informali e una massiccia evasione fiscale e contributiva. Dunque dobbiamo guardare a un importante termometro dell’economia del lavoro, ossia il tasso di attività, che è il rapporto fra popolazione totale e popolazione che lavora o cerca lavoro. Questo tasso riguarda tutti i residenti anche temporanei e quindi anche i 5 milioni di immigrati ufficiali che fanno parte della popolazione italiana, che sfiora i 60 milioni. La cattiva congiuntura ha ridotto il tasso di attività. Esso nel terzo trimestre del 2010 è diminuito solo dello 0,2% rispetto al terzo del 2009, un periodo in cui la crisi era al culmine, una variazione media poco significativa, compresa nell’errore statistico.
Ma le situazioni specifiche sono, fra loro, molto diverse. Il tasso di attività dei maschi è diminuito del 4,2% mentre quello delle femmine è sceso solo di 0,9. La divaricazione fra riduzione del tasso di attività maschile e femminile è rilevante nel Centro Italia ove quello dei maschi è diminuito del 4,9% e quello delle donne dello 0,4%. Ma nel Mezzogiorno c’è una forbice analoga: il tasso dei maschi è sceso del 5% e quello delle donne dello 0,7%. La ragione è che le donne trovano occupazione soprattutto nei servizi, specie in quelli pubblici e in quelli alle persone (infermiere, lavoratrici domestiche, supermercati, eccetera). E in questi comparti vi è una flessione d’occupazione molto minore che nelle industrie, specialmente nelle medie e grandi, più aperte al commercio internazionale e dunque più sensibili alla crisi.
Questa diagnosi è confermata dal fatto che la flessione della popolazione attiva è particolarmente pronunciata nel Nord Ovest in cui essa scende del 3,3% contro il 2,2 del Sud, dell’1,3% del Centro Italia e dello 0,6 del Nord Est. Nel Nord Ovest, ossia nel triangolo fra Piemonte, Lombardia e Liguria si concentra maggiormente la nostra industria manifatturiera e, in particolare, quella delle imprese maggiori. L’area che soffre di più è quella piemontese ove il tasso di disoccupazione nel terzo trimestre del 2010 è salita dal 6% al 6,6% rispetto al terzo del 2009. Invece in Lombardia la disoccupazione è scesa dal 5,1 al 5%. Sono, comunque, aree a bassa disoccupazione, con intensa attività industriale: ma il Piemonte soffre di più, perché l’industria dell’auto è in crisi.
Il messaggio che da ciò si desume è evidente.
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