Il dissidente Wu e i «lager» cinesi

«Mi chiedevo se esistesse un paese dove l'autorità potesse far cambiare opinione alla gente. Ebbene, i cinesi ci sono pienamente riusciti, attraverso la riforma del pensiero. Persino oggi, alcune vittime intervistate dicono ripetutamente di essere colpevoli, di essersi sbagliate: non sono in molti a parlare dell'olocausto cinese». Una dimora del 1300 e un parco secolare: scenario ideale per un incontro culturale estivo con uno scrittore e dissidente cinese che alla vigilia delle Olimpiadi ha molto da raccontare sul suo Paese ed è venuto a farlo a Milano. L'occasione è offerta da Spirali, che porta questa sera a Villa San Carlo Borromeo (Senago, ore 19.30) il professor Hongda - occidentalizzato in Harry Wu - il dissidente che ha svelato con agghiacciante precisione nel saggio «Laogai. L'orrore cinese» la storia e i metodi dei lager di «rieducazione» comunista, veri e propri campi di concentramento quasi del tutto sconosciuti al mondo grazie alla censura governativa, in cui ha trascorso 19 anni di torture, fame e lavori forzati per la condanna come controrivoluzionario. Il condizionamento mentale, il controllo della tecnologia, le discriminazioni, la questione del Tibet, il commercio di organi da condannati a morte, piazza Tienamen sono alcuni dei temi dell'incontro. Il professor Wu - dalla morte di Mao residente negli Stati Uniti, ex docente di geologia a Berkeley e oggi a tempo pieno attivista per i diritti umani - è anche autore di «Cina, traffici di morte.

Il commercio degli organi dei condannati a morte» (Guerini), in cui racconta la scioccante storia di un «regolamento» del Partito Comunista cinese per il prelevamento degli organi ai condannati a morte, destinati al trapianto. Secondo Wu, 10mila trapianti su 13mila eseguiti a Pechino nel 2006 provengono da organi dei condannati uccisi nelle esecuzioni di massa.

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