nostro inviato a Mantova
«Male non fare, paura non avere».
Scusi signor presidente, ma di cosa stiamo parlando?
«Di tutto. Io penso sempre che la persona che ho davanti sia meglio di me».
E funziona anche nel calcio?
Fabrizio Lori, quarant'anni, è un capitano d'industria che ha ereditato dal padre la Nuova Pansac, leader della plastica, prima in Italia come miglior incremento di fatturato, abbondantemente fra le prime venti in Europa, le pellicole che hanno conquistato il mondo, il pannolino che respira. Un giorno gli hanno chiesto di fregiare le maglie del Mantova con il suo logo, lui ha pensato: i miei clienti sono i bambini, cosa ci faccio... magari è meglio che me lo compro il Mantova calcio.
In via Mazzini ha una scrivania con cristallo di cinque metri, un po' di cartelle impilate, un telefono, un pc, alle spalle dei libri e due madonnine di plastica bianca e azzurra che arrivano da Lourdes colme di acqua benedetta.
«Nel calcio? Nel calcio è tutto più complicato, come si fa a dire che le altre sono migliori di te, i tifosi poi...».
E quindi come si fa?
«Il calcio è un'azienda senza le strade canoniche di un'azienda, proiezioni e parametri sono impossibili, alla fine è un pallone che entra e un pallone che esce, e quando le cose vanno male è una tragedia. Noi adesso siamo penultimi».
E allora arriva il santone?
«Ma questa è stata davvero spettacolare. Io ho detto ai ragazzi che li volevo il giorno dopo la partita perché dovevo presentare alla squadra una persona. E mi ero raccomandato di non dire niente in giro».
E fin qui non fa una grinza.
«Poi mi ritrovo col santone... invece è solo un traumatologo, anche antropologo, ma l'ho chiamato perché siamo pieni di infortunati, ho pensato che potesse darci una mano. Lui poteva venire solo di lunedì, abita a Roma, ma questo ha messo in allarme. I giocatori hanno pensato: ci raduna nel giorno di riposo? Chissà quale mistero!».
Un personaggio eccentrico?
«Non mi sembra, aveva un paio di occhiali scuri perché aveva una congiuntivite. Ma la cosa più curiosa è che mi hanno tempestato di telefonate, tutti che volevano conoscerlo per guarire da qualcosa. Qualcuno voleva anche i numeri da giocare al Superenalotto».
Questa storia cosa le ha insegnato?
«Solo che nella squadra c'è una talpa».
Conclusione bizzarra... non se lo aspettava?
«Sono altre le cose che mi hanno deluso».
Cosa?
«Eravamo a un centimetro dalla serie A, siamo dovuti ripartire da zero, parlo di due stagioni fa. Qui avevamo vinto 4-2, siamo arrivati a Torino per il ritorno e appena scesi dal pullman abbiamo visto che loro scaricavano le cassette di spumante, era l'ultima al Delle Alpi poi chiudeva, pieno come non l'aveva mai visto nessuno. Ho capito che non ci volevano. Fuori. Quella partita non la scorderò mai, e neppure i mantovani».
Il calcio è roba dura presidente... Ma lei ha un modello?
«No, prima di prendere il Mantova allo stadio c'ero stato una sola volta, forse due, e con mio padre».
Eppure va in panchina come faceva Costantino Rozzi, il giorno del raduno arriva al campo in elicottero come il Cavaliere, sogna di acquistare il Venezia, poi il Crotone, un po' come Zamparini.
«In panchina ci vado perché mi piace, l'elicottero ce l'hanno un mucchio di presidenti e non ho mai pensato di comprare un altro club. Non so spiegarmi il motivo per cui faccio parlare di me. Sono pacato, mai fuori dalle righe. L'unico volta è stato a Parma, marzo di quest'anno, lì mi sono proprio arrabbiato».
Abbiamo visto la videocassetta di quello sfogo: ma lei quando si arrabbia pare san Francesco che parla agli uccellini...
«Mi accusano di essere troppo buono... ma secondo lei c'è una giustizia divina?».
Così, su due piedi...
«Quella sportiva non lo so, ma quella divina sì. Male non fare, paura non avere».
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