Divina creatura

I mille volti del successo in celluloide fino al tramonto fra cocaina, chirurgia estetica, solitudine e povertà

Laura Antonelli era prigioniera. E da prigioniera visse e morì. La sua «cella» aveva colori diversi in rapporto ai differenti versanti della sua esistenza, iniziata in un cupo novembre di guerra - nel '41 - nella Pola italiana e interrotta da un infarto, nel assolato giugno romano appena finito. E le due stagioni che ne sancirono l'alfa e l'omega presagirono una vita segnata da molte sofferenze che forse solo nell'ora della morte l'ha consegnata a una pace vera. Per chi crede. E la Antonelli credeva. Negli ultimi anni della sua esistenza assaporò la quiete della preghiera e della chiesa sotto casa. Preludio di beatitudine.

Ma per i quasi 74 anni del suo cammino terreno visse la prigione. Come attrice finì ostaggio della sua bellezza. Un'avvenenza e un fascino che non riuscì mai a spiegarsi e di se stessa si chiese: «Sono bassina, un po' tondetta e ho le gambe piuttosto corte. Chissà perché piaccio». Ma piacque. E anche tanto. Per l'universo maschile fu molto più di una sex symbol. Era la donna dal volto semplice e pulito, ma al tempo stesso intrigante e sensuale, che tutti sognavano di avere. All'altra metà del cielo non suscitò mai desideri di emulazione. Inarrivabile per la naturalezza del suo essere bella.

Il cinema che, di genere grammaticale e non solo, è maschile, se ne accorse e la reclutò in fretta. Ma altrettanto in fretta la incasellò in un solo ruolo. Ripetuto, pur nelle sue variazioni. La femme fatale . Recitò con registi importanti anche in film d'autore, ma la sua parte raramente cambiava. Da Il magnifico cornuto di Antonio Pietrangeli - era il '64 - quando esordì in una piccola parte a Malizia di Salvatore Samperi (1973), successo dei successi. Passando per Il merlo maschio di Pasquale Festa Campanile in cui suona il violoncello vestita solo di autoreggenti e Trappola per un lupo di Claude Chabrol dove era l'oggetto del desiderio di Jean Paul Belmondo che poi, nella vita reale, quel desiderio lo soddisfò appieno e la loro unione fu forse il solo grande amore di Laura. Anche se durò solo otto anni, dal 1972 al 1980. Fino a Sessomatto di Dino Risi e al sentimento dannunziano ne L'innocente di Luchino Visconti.

Ma la bellezza che la premiò imponendole per soprammercato il confino nella stessa parte recitativa le si ritorse contro. Per farsi ritoccare ciò che non aveva bisogno di essere corretto, fu maltrattata dai chirurghi estetici. E quello di Laura diventò un calvario, prigioniera di un volto impresentabile. E di un'etichetta maledetta. I 36 grammi di cocaina trovati nel '91 nella lussuosa villa di Cerveteri. Condannata a tre anni e mezzo, poi assolta perché riconosciuta consumatrice e non spacciatrice, infine riabilitata, non riuscì mai a liberarsi da quell'odioso clichè .

Nell'ultima parte della sua vita fu schiava della povertà, un concetto che faceva a pugni con gli incassi record di Malizia . Sei miliardi di lire. Gli amici - Lino Banfi su tutti - si adoperarono per farle avere i benefici della legge Bacchelli. Ma l'ok dell'allora ministro Sandro Bondi si scontrò con il rifiuto dell'attrice. «Non mi interessa la vita terrena».

E senza esito rimase anche il tentativo di Simone Cristicchi, a lei vicino, di portarla a Sanremo nel 2013 per cantare la canzone a lei dedicata. «Laura». Fino all'ultimo giorno ha vissuto con 500 euro. La sua pensione.

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