
Caro Direttore Feltri,
sono una insegnante di liceo di 47 anni. Ho letto con attenzione le dichiarazioni del ministro Roccella: «Le gite ad Auschwitz servivano a dirci che l'antisemitismo era una questione fascista e basta», e le reazioni polari che ne sono seguite. Sono indignata da certe accuse levate contro Roccella, come se avesse tradito la memoria, quando credo stesse cercando di scuotere un'abitudine stanca e addormentata. Da lettrice, vorrei chiederle: qual è il suo parere, direttore, su queste parole e su come è stata montata questa polemica? È davvero un errore di lessico oppure un agguato politico?
Elena De Benedetti
Cara Elena,
grazie per la tua lettera, limpida, ragionata e in equilibrio tra rispetto e critica. Ti rispondo volentieri. Premetto subito: una ministra ha il diritto, e in un sistema democratico è persino suo dovere, di provocare riflessioni. Se «gita scolastica» è una parola che qualcuno considera sacrilega, ebbene, si può discutere del termine: non significa che si stia sminuendo Auschwitz. La gita scolastica è un genere di viaggio, un'istituzione didattica, che può valere moltissimo quando è accompagnata da guida, contesto, consapevolezza, o diventare vuoto rituale se resta soltanto etichetta.
Nel caso della Roccella, mi pare che stesse dicendo: attenzione, certe visite della memoria sono state usate per confinare l'antisemitismo al passato, come se fosse un capo d'accusa esclusivo del fascismo, un crimine relegato a un'epoca storica. E chi oggi parla di antisemitismo emergente viene ignorato o attaccato, come se fosse un reato denunciarlo. Roccella ha affermato: «Le gite ad Auschwitz servivano a dirci che l'antisemitismo era qualcosa che riguardava un tempo ormai collocato nella storia, in una precisa area, il fascismo». Questa tesi, per quanto controversa, è aperta alla discussione. Non è una bestemmia storica, bensì un'affermazione che può piacere o no. Ma ecco il mio giudizio. Non mi pare affatto una dichiarazione da criminalizzare a priori, soprattutto se consideriamo che oggi assistiamo a fenomeni antisemiti, attacchi contro ebrei, negazionismi, oltraggi nei cortei. Se il ministro avesse proclamato: «Auschwitz non è importante», allora ci saremmo scandalizzati a giusto titolo. Ma non è questo che ha detto. La sinistra, come spesso succede, ha colto l'occasione per montare un caso ideologico a favore della propria narrazione: indignazione generalizzata, richiesta di scuse, attacchi mediatici. È vero che il linguaggio conta e che chiamare «gita» un evento di memoria ha un peso simbolico. Tuttavia il peso è da misurarsi tenendo conto delle intenzioni e nel contesto. Se guardassimo il palco politico: per una dichiarazione così, si è alzato un coro che non appare quando si celebra il massacro del 7 ottobre, né quando nelle piazze si inneggia al terrore o si giustifica quella strage. Sì, sarebbe stato preferibile forse che la ministra fosse più precisa, che adoperasse un termine meno soggetto a polemiche, eppure non credo che meritasse l'assalto che ha ricevuto. In conclusione, non mi sento di condannare. Del resto, in democrazia non si condanna un ministro che tenta di riaprire un dibattito.
Se quel dibattito ha provocato un putiferio, banalmente, è il prezzo che deve pagare oggigiorno chiunque osi dire cose scomode quando tutti prediligono e difendono il silenzio comodo.E quanto alle accuse che Roccella avrebbe negato la Shoah, non reggono. Discutere la modalità, l'esegesi, la memoria utilizzata come ideologia, non significa cancellare la storia.