Prima ti sposo poi ti rovino. Rischia di assomigliare alla trama di un film americano (George Clooney che a momenti finisce sul lastrico per colpa di Catherine Zeta-Jones) la vita dei 260mila italiani che ogni anno divorziano o si separano. Naturalmente in peggio, perché se è vero che in Italia (per fortuna) non esistono i contratti pre-matrimoniali, è anche vero che ci sono gli obblighi post-matrimoniali per il mantenimento di moglie e figli. Poi c'è la casa: quando ci si lascia, uno dei due deve fare armi e bagagli, e lasciare il tetto coniugale. E quando non ci sono abbastanza soldi per affittarne o comprarne un'altra? I più fortunati ritornano dai genitori. Gli altri escono dall'ufficio per infilarsi in un dormitorio pubblico o, peggio, in una stazione, su una panchina, o in auto. Impiegati di giorno e clochard di sera.
I nuovi poveri sono loro: uomini e donne con un matrimonio fallito alle spalle. I dati dell'Associazione matrimonialisti italiani parlano chiaro. «Il 25% degli ospiti delle mense dei poveri in Italia sono divorziati (100mila l'anno) e separati (160mila l'anno)», spiega Gian Ettore Gassani, presidente nazionale dell'Ami. I nuovi poveri che pur lavorando e portando a casa (si fa per dire) uno stipendio, sono stritolati dai doveri che li legano finché morte non li separi all'ex coniuge. «È un fenomeno che riguarda per lo più operai, impiegati e insegnanti», continua l'avvocato Gassani. E in otto casi su dieci sono i padri di famiglia a finire la giornata di lavoro con una cena alla mensa dei poveri. Ma sempre più spesso, registra l'Ami, fra i nuovi poveri finiscono anche le donne: professioniste o impiegate con l'obbligo di mantenere l'ex marito. Donne del Centro-Nord, ieri mogli felici e signore economicamente indipendenti, oggi povere e senza casa.
Quella dei divorzi e delle separazioni, insomma, è la piaga sociale del 2000.
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