Il dna antidemocratico della sinistra genovese ammalata di torcicollo

Il dna antidemocratico della sinistra genovese ammalata di torcicollo

La titolazione di una via al 30 giugno 1960,come vorrebbe inconsultamente fare la Giunta genovese di sinistra, configura sia una apologia di reato che una istigazione a delinquere. Rivolgo, pertanto, un appello ai genovesi di buona volontà a dare vita ad un Comitato per dire «NO» a «via 30 Giugno» che promuova iniziative di sensibilizzazione ma anche di intervento presso il Prefetto e l'Autorità Giudiziaria.
A Genova nel giugno 1960,piaccia o non piaccia ai taroccatori in servizio permanente effettivo, si verificarono fatti gravemente eversivi che tuttora rappresentano una pagina buia ed inquietante della storia della Repubblica. Si impedì, infatti ad un partito come il Msi-che aveva contribuito in maniera determinante alla elezione di Presidenti della Repubblica e del Consiglio e che sosteneva maggioranze in ben ventisette Comuni italiani tra cui Genova-di tenere il proprio sesto Congresso Nazionale.
Giova far osservare che il Msi aveva, in precedenza, celebrato i propri Congressi in città altrettanto definibili difficili senza incidenti di sorta: si volle imprimere, con la forza, una sterzata a sinistra dell'asse politico italiano.
Il bilancio degli scontri di piazza fu di centocinquanta agenti delle Forze dell'Ordine contusi e feriti con un capitano, due commissari e trentatré agenti di Polizia ricoverati, in condizioni gravi, negli ospedali cittadini.
Nella descrizione fatta da un giornalista de «Il Corriere della Sera» viene rilevato come: «Nelle mani dei manifestanti comparvero stranamente bombe lacrimogene. La sassaiola contro la polizia era incessante. Un agente fu gettato nella vasca della fontana di piazza De Ferrari, altri vennero colpiti dalle pietre ed andarono sanguinanti a medicarsi» (da Indro Montanelli - L'Italia dei due Giovanni - Editore Rizzoli - 1989- pg.136). Sul punto anche il «Secolo XIX» del 1° luglio 1960 scriveva, tra l'altro, che «gruppetti di dimostranti lavoravano a divellere i lastroni di granito della pavimentazione stradale, frantumandoli in dimensioni adatte al lancio. Si costituivano piccoli depositi, cumuli di sassi grossi come il pugno di un uomo». Un agente ausiliario del 2° reparto Celere di Padova - diventato, poi, giornalista - racconterà: «Il povero capitano Londei, persona mite e benvoluta da tutti, caduto per terra lo hanno attaccato selvaggiamente a colpi di bastone, calci e pugni. In quattro o cinque, sollevandolo in alto come un fantoccio, sghignazzando, lo lanciarono nella fontana monumentale della piazza continuando a colpirlo come un cane rognoso».
Il 19 luglio il Tribunale di Roma condannò a pene pesanti per resistenza, oltraggio e danneggiamenti quarantatrè dimostranti del 30 giugno genovese.
Anche in allora - come nei fatti altrettanto violenti ad opera dell'ultrasinistra nel G8 del 2001 - c'era un dimostrante individuato come «l'uomo della trave».Si trattava di Giuseppe Pellerano, un disoccupato ventottenne di Carloforte alloggiato al ricovero «Massoero» e soprannominato «Tramontana». Per le sue prodezze in quel giorno si prese una condanna a quattro anni e cinque mesi.


Una cosa è certa e cioè che una sinistra come quella genovese, costretta ad esaltare - a cinquant'anni di distanza - l'eversione del 30 giugno è gravemente ammalata di torcicollo e non riesce a nascondere un dna ancora troppo illiberale ed antidemocratico. È per questo che va smascherata e fermata.

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