«Do corpo alle voci del mondo»

Questa sera alla Basilica di Massenzio leggerà il racconto «La donna frivola»

Francesca Scapinelli

Per Nadine Gordimer anche noi, che questa sera avremo il privilegio di ascoltarla alla basilica di Massenzio, siamo inconsapevoli story teller. «Per uno scrittore in fondo tutti coloro che lo circondano sono cantastorie - spiega l’autrice sudafricana, Premio Nobel nel ’91 -. Chi è tenore deve avere corde vocali particolari, allo stesso modo occorre che chi scrive abbia le orecchie dritte per captare tutto ciò che è intorno, sappia osservare il linguaggio del corpo, il comportamento degli altri, con la creatività possegga insomma il senso dell’umano». È appunto l’osservazione del mondo, con le sue contraddizioni, ingiustizie e assurdità, a essere il punto di partenza per la Gordimer, terza ospite del festival internazionale Letterature dopo John Irving e Isabella Santacroce.
Per il pubblico di Massenzio, leggerà La donna frivola, un racconto ambientato in Sudafrica. Ne è protagonista una donna, immigrata nel Paese in mano ai bianchi dall’altrettanto difficile realtà della Germania nazista. «In quelle pagine parlo più dell’artificiale che del naturale - precisa, riferendosi al tema di questa edizione del festival -. Tocco in particolare l’idea del giudizio verso gli altri e verso il coraggio, o meno, che l’altro mostra di possedere».
La lettura sarà introdotta dalla giovane e affermata attrice di teatro Manuela Mandracchia, che proporrà un brano dell’ultimo libro della Gordimer, Sveglia! (Feltrinelli), e ampi stralci tratti da Scrivere ed essere, il discorso tenuto al momento di ricevere il Nobel. Parole ma anche musica, com’è consuetudine della rassegna: il ritmo della serata sarà quello di un «cantastorie» come Baba Sissoko, capace di spaziare dal tamani al jazz. Una contaminazione sonora che bene si sposa con l’integrazione e il disagio nella società razzista, da sempre al centro della riflessione dell’autrice di capolavori quali Un mondo di stranieri, Un ospite d’onore e La figlia di Burger. «Il futuro dell’Africa per me si traduce in un’immagine: bambini bianchi e neri che vanno a scuola, ridono e giocano insieme. Ecco, questo è il modo in cui si può rendere giustizia a questa terra». Da osservatrice attenta, però, la Gordimer non evita di poggiare lo sguardo sulle difficoltà seguite alla fine dell’apartheid. «Come il mal di testa che insorge dopo una notte di baldoria, anche dopo il superamento della politica di segregazione razziale ci si rese conto di problemi che non si possono risolvere dall’oggi al domani: tra questi, i ritardi nell’edilizia e nell’istruzione, l’analfabetismo, le gravi sanzioni inflitte dalla comunità internazionale».
Per Massenzio fa un’eccezione: di solito preferisce parlare attraverso la scrittura, la Gordimer. «Quel che conta di un autore è nelle sue pagine».

Anche le pubblicazioni saggistiche possono essere fraintese, osserva, «mentre nella fiction si è più liberi, non ci si deve autocensurare per timore di non essere capiti e si può, diceva Goethe, affondare la mano nella società e far affiorare un pezzetto di verità».

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