«Do you love me?» Sul palco la psichiatria dell’amore

Ci vuole del coraggio a fare del teatro come lo fa Antonio Sixty: soprattutto oggi in cui gli spettacoli, per ricevere la solita dose di consenso preventivo, devono essere minimali, politicamente corretti e piacevolmente affabulatori. Sixty invece si ostina a rappresentare pièce ridondanti, lontane anni luce dalla cronaca e del tutto antinarrative, com’è anche «Mi ami – Do you love me?», la sua ultima produzione in scena al Teatro Litta fino all’8 marzo. Il punto di partenza dello spettacolo sono alcuni testi dello scozzese Ronald D. Laing, il più celebre psichiatra libertario del secondo novecento, autore di saggi in cui la ricerca scientifica è condotta attraverso un linguaggio che esula dalla terminologia clinica, per farsi poetico e sperimentale. Su questi scritti, Sixty costruisce una sequenza di discorsi compulsivi e spiazzanti, pronunciati da un Lui (Guglielmo Menconi) e una Lei (Cara Kavanagh) che sembrano l’incarnazione di due stereotipi erotici. Tra loro si insinua «Mister X», una figura grottesca, buffa e disperata, che si aggira per la scena indossando un abito da membro del Ku Klux Klan e che forse è uno psichiatra, o forse solo un guardone, oppure entrambe le cose. Mentre Lui, Lei e l’Altro si muovono tra poltrone zebrate, guardaroba griffati e pareti addobbate con cuoricini di strass, in un contesto che fa pensare al privè di una discoteca anni Ottanta, su di uno schermo che sovrasta il palco si susseguono immagini di artisti celebri, come Warhol e Beuys, di sfilate di moda e di fumetti glamour. La tentazione di considerare «Mi ami – Do you love me?» uno spettacolo che denuncia la mercificazione dell’eros e il feticismo del bello è molto forte, ma cedervi sarebbe un errore. Attraverso il suo Teatro dell’Assurdo in versione postmoderna, Sixty sembra piuttosto suggerire che c’è qualcosa di lunare e di involontariamente metafisico persino in ciò che è effimero. Non a caso le scene che non si dimenticano sono quelle che sembrano dei «quadri di un’esposizione», sono le situazioni in cui il linguaggio diventa per un attimo assertivo e a suo modo lirico, e i personaggi appaiono sospesi nella loro assenza di desiderio.

E se c’è una battuta che più di tutte condensa il significato di questo spettacolo conturbante, visionario e antisentimentale, tra i più innovativi e riusciti della stagione teatrale milanese, la pronuncia «Mister X» nel momento in cui, scrutando il rapporto algido e plastificato che intercorre tra Lui e Lei, si domanda «era un bacio quello oppure un sibilo dall’abisso?»

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