«Dobbiamo comportarci come in Kosovo»

«Gli Hezbollah sono da disarmare come è stato fatto con l’Uck». Almeno 15mila uomini sotto il comando Nato

Fausto Biloslavo

«Per il Libano servono almeno 15mila uomini e dev’essere una missione Nato con un forte mandato Onu, come in Afghanistan. La presenza italiana è necessaria perché sul terreno siamo percepiti come una vera forza equidistante e di pacificazione», spiega al Giornale una fonte delle nostre forze armate, che conosce bene il paese dei cedri. In questo momento non può parlare «ufficialmente», con grado, nome e cognome, ma se gli italiani andranno in Libano il suo reparto sarà in prima linea. «Prima di tutto sono indispensabili un cessate il fuoco accettato da entrambe le parti ed una chiara demarcazione della zona di separazione dove dovrà schierarsi la forza multinazionale, tenendo conto che il confine fra Israele e Libano è ancora conteso in alcuni punti», sottolinea l’ufficiale che ha prestato servizio più volte nel paese dei cedri. «Si stima che siano necessari non meno di 15mila uomini - aggiunge - al comando di una struttura efficiente come la Nato».
L’esperienza degli osservatori dell’Onu dispiegati lungo il confine ha dimostrato nel tempo tutti i suoi limiti. Ieri i caschi blu della missione Unifil, al confine fra Libano e Israele, hanno ricevuto l’ordine di ritirarsi dalle loro postazioni, ben visibili, ma troppo esposte, nella base di Naqoura dove ci sono anche gli elicotteristi italiani. «Bisogna replicare il modello dell’Afghanistan, utilizzato anche in Kosovo e Bosnia. Penso che una risoluzione Onu con un intervento della Nato sia una buona soluzione ­ puntualizza l’ufficiale -: dispiegarsi subito dopo un cessate il fuoco necessita di una struttura militare rodata, con una chiara capacità operativa e di comando. Poi possono innestarsi altre componenti dei paesi africani o islamici».
Gli italiani sono sbarcati a Beirut nel 1983, con il generale Franco Angioni, ma prima e dopo si è susseguito in Libano ed in Israele l’invio di personale che ha partecipato a missioni Onu o europee, i quali hanno acquisito una grande esperienza sul conflitto mediorientale. «Anche per il nostro background culturale è riconosciuta dalla popolazione e dalle parti in lotta un ruolo vero di equidistanza e pacificazione dei soldati italiani ­ spiega la fonte del Giornale ­. Chi ha operato in Libano, per esempio come osservatore dell’Onu, parlava sia con gli Hezbollah che con i comandanti israeliani».
Uno dei problemi più spinosi di un intervento multinazionale riguarderà il disarmo dei combattenti già previsto da una risoluzione delle Nazioni Unite. «Gli Hezbollah si possono disarmare come è stato fatto con l’Uck (la guerriglia albanese nda) in Kosovo, oppure con le regole imposte in Bosnia ­ sostiene l’ufficiale -. In questo sforzo va coinvolto l’esercito libanese che deve essere adeguatamente rafforzato e guidato nell’impresa. Penso che una parte consistente del contingente dovrebbe dedicarsi a questo problema».
Un accordo potrebbe prevedere, come nei Balcani, il sequestro delle armi pesanti ed eventualmente una parziale integrazione nelle forze di sicurezza nazionali di un certo numero di miliziani. «Rispetto al passato la grande differenza è che gli Hezbollah sono dotati di missili ben più potenti ed in gran numero ­ osserva l’ufficiale ­. Sicuramente hanno utilizzato come nascondigli edifici civili, che vanno perquisiti e cunicoli sotterranei».
Un altro obiettivo della missione è l’apertura immediata di corridoi umanitari, che portino sollievo alla popolazione civile nel sud del Libano. La presenza italiana dovrebbe prevedere anche reparti particolari come il reggimento Cimic (Cooperazione civile e militare) di Motta di Livenza, composto da 350 specialisti. Non si tratta di un’agenzia umanitaria con le stellette, ma di un’unità capace di intervenire subito per la ricostruzione di strade, ponti ed infrastrutture civili colpite, oltre che per l’apertura di corridoi umanitari.

«In pratica sono dei varchi da definire in maniera inequivoca con le parti in lotta, sorvegliati dalla forza multinazionale di interposizione tenendo conto che ci saranno zone minate e rischi di tutti i generi, compresi quelli di attentati ­ spiega la fonte del Giornale ­. Attraverso i varchi passano gli aiuti, vengono evacuati i feriti ed i profughi. Inoltre i reparti Cimic hanno anche funzione di collegamento per lo scambio di prigionieri».

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