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A Doha i Paesi arabi corrono in soccorso del «boia del Sudan»

Nella sfida globale dell’assurdo Lega Araba e Corte di Giustizia dell’Aia giocano da sempre alla grande, ma dopo il vertice di Doha di ieri il loro punteggio svetta a livelli decisamente surreali. In apparenza l’ordine del giorno del summit era roba seria. Sovrani e capi di governo arabi s’erano dati appuntamento per contenere le trame di Teheran, Hezbollah e Hamas, e pretendere da Israele una risposta alle offerte di negoziato. Ieri quel vertice ambizioso è diventato l’apoteosi del super latitante premier sudanese Omar Hassan al-Bashir, celebrato come novello eroe del mondo arabo sotto gli occhi attoniti dell’“ospite” Ban Ki Moon, il segretario generale dell’Onu tutore del mandato della Corte Internazionale. Il tutto in un clima di reciproco sospetto infiammato da nuovi e antichi dissidi. Così, mentre Hosni Mubarak decide di non farsi vedere per protesta contro il sostegno offerto dal Qatar alla dirigenza filo-iraniana di Hamas, l’assemblea applaude il presidente siriano Bashar Assad, miglior amico arabo di Teheran, e il leader libico Muhammar Gheddafi chiude in bellezza invitando l’84enne sovrano saudita Abdallah a far la pace con lui prima di «schiattare».
Sotto un cielo tanto confuso la situazione è decisamente ottimale per il grande ricercato Bashir. Da quando il Don Chisciotte dell’Aia Luis Moreno-Ocampo, procuratore capo della Corte Internazionale, ha spiccato il mandato di cattura internazionale contro di lui il leader sudanese è un autentico travet dei cieli. È volato dall’Eritrea alla Libia all’Egitto, per sbarcare domenica nel Qatar dove l’emiro Hamad Bin Khalifa gli ha offerto solenni ricevimenti e il caloroso abbraccio riservato ai fratelli perseguitati.
Il meglio arriva, però, all’apertura di un’Assemblea dove tra gli invitati di riguardo siede il segretario generale dell’Onu. Per capire quanto quel faccia a faccia sia irriverente va ricordato che è stato il voto del Consiglio di Sicurezza a chiedere un’indagine sui crimini del Darfur. Come se, insomma, Osama Bin Laden e George W. Bush si fossero incontrati a un vertice internazionale dopo l’11 settembre. Ma nel teatro dell’assurdo di Doha spetta a Bashir di sparare a zero contro un Consiglio di Sicurezza liquidato come «istituzione antidemocratica dal doppio registro che perseguita gli innocenti e distoglie lo sguardo dai veri criminali». E mentre Ban Ki Moon lo implora sommessamente di riaprire il Sudan alle organizzazioni internazionali, il premier sudanese si trasforma da sospetto macellaio in super eroe delle genti arabe. A suggellarne l’apoteosi ci pensa quel Bashar Assad sospettato da un altro tribunale dell’Onu di esser il mandante dell’omicidio del premier libanese Rafik Hariri. «Siamo qui per respingere categoricamente il mandato di cattura ed esprimere l’assoluto appoggio al Sudan» declama l’alleato di Teheran davanti ai signori sunniti convinti, fino a 24 ore prima, di voler discutere di strategie anti sciite e anti iraniane. Grazie al verbo di Bashar eccoli applaudire l’improvvisa verità nascosta. «Quanto avviene in Sudan è un altro capitolo della lotta per indebolire gli arabi, un altro tentativo di piegare il Sudan». E giù applausi.
Quel regno del paradosso è, però, un irresistibile invito a nozze per Mohammar Gheddafi, invitato a Doha nella speranza di favorire una riconciliazione con la casa saudita.

Così, mentre la platea ancora gongola per gli osanna al perseguitato Bashir, il leader libico la raggela con l’ennesima, devastante frecciata ai danni dell’anziano re Abdallah: «Sono sei anni che scappi per paura di affrontarmi, ma ora siamo finalmente davanti e io voglio dirti non aver paura, perché ormai un piede nella fossa ce l’hai comunque».

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