Milano - Da una parte la foto di una donna bloccata a terra da un giovane e altri quattro a guardare. Firmata Dolce & Gabbana. Dall’altra la foto di due bimbe dai lineamenti asiatici in atteggiamento maliziosamente allusivo al turismo sessuale. Firmata Armani Junior. Per la Spagna due immagini da bocciare, viste con l’occhio protettore del censore e del garante. Le hanno chiamate «pubblicità choc», scene offensive da non mostrare. Anche nel ’700 andava così: si veniva persino torturati. Allora per tenere la gente nell’ignoranza, ora per mantenerla vuota e altrettanto non colta.
Oggi in pieno tempo di reality (veri o costruiti), di videogiochi che incitano all’assassinio, fa notizia la fotografia d’autore, lo scatto che, magari tra cinquant’anni, sarà protagonista di una mostra o finirà in un museo. «Un’espressione d’arte», l’ha definita Stefano Gabbana. Bisogna chiedersi dove sta la mente perversa, perché perversa lo è di sicuro. Domenico Dolce e Stefano Gabbana non hanno digerito la censura spagnola da cui sono poi partite le polemiche italiane. A seguito delle pesanti critiche sollevate dalle autorità spagnole in merito allo scatto della campagna pubblicitaria Dolce & Gabbana uomo, tacciato di violenza nei confronti delle donne, gli stilisti hanno annunciato il ritiro, in Spagna, di tutte le pubblicità del marchio al fine di «tutelarne la libertà creativa» che da sempre le caratterizza. «Ultimamente la Spagna, con il suo clima di censura, dimostra di voler leggere ovunque messaggi negativi anche dove non esistono: nonostante vada contro gli interessi di Dolce & Gabbana, la decisione di interrompere la comunicazione del marchio in questo Paese si è resa quindi inevitabile» hanno spiegato gli stilisti.
Certo l’Italia si è accodata al gregge spagnolo con velocità e severità. Con tanto di appello bipartisan, sottoscritto da tredici senatori, politici, associazioni, sindacati. E con i complimenti al giurì dal ministro Pollastrini, che aveva vietato su tutti i giornali, riviste e cartelloni la foto di Dolce & Gabbana (a firma di Steven Klein) «lesiva della dignità delle donne», lesiva degli articoli 9 (violenza, volgarità, indecenza) e 10 (convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona) del codice di autodisciplina pubblicitaria. Insomma, se qualcuno non l’aveva vista prima, dato il polverone sollevato, se l’è trovata davanti agli occhi per forza.
Tutto nasce in Spagna in piena settimana di moda milanese. È datata 21 febbraio l’«ingiunzione di desistenza» alla pubblicazione con tempo fino al 5 marzo per opporsi. Nessuna opposizione da parte di Dolce e Gabbana ma ritiro ufficiale. «C’è comunque l’intenzione da parte nostra di organizzare iniziative alternative al fine di tutelare i clienti spagnoli», precisano.
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