Domani il Museo di Storia contemporanea ospita la presentazione di un libro di foto inedite sulla Milano della cinta daziaria Viaggio tra i Bastioni della memoria

L’incontro sul testo di Aldo Genovesi è organizzato dall’Unione lettori italiani in ricordo di Guido Vergani

Domani il Museo di Storia contemporanea ospita la presentazione di un libro di foto inedite sulla Milano della cinta daziaria Viaggio tra i Bastioni della memoria

Ferdinando Maffioli

La «Grande muraglia» milanese, ovvero la cerchia dei Bastioni, fu voluta da Ferrante Gonzaga, il governatore spagnolo che voleva dare alla città una barriera difensiva più ampia e consistente rispetto alle mura medievali. Com’era consuetudine, la prima pietra fu benedetta in Duomo e poi portata in processione fino a Porta Orientale, oggi Venezia, dove ebbero inizio i lavori. Era il 1549, meno di 15 anni dopo la caduta dell’ultimo degli Sforza.
Fino allo spianamento definitivo, negli anni Trenta del secolo scorso, i Bastioni furono anche una «risorsa» per la città. Innanzi tutto panoramica: «A chi non pesano sei miglia di cammino è concesso dall’alto di sì vago passeggio di contemplare l’immenso panorama di Milano», scriveva un cronista nell’Ottocento. Poi come approvvigionamento edilizio: già nel 1624 i frati di Santa Maria alla Fontana (oggi a due passi da piazzale Lagosta) avevano chiesto di poter raccogliere pietre vive e mattoni che cadevano dalle mura per ampliare la chiesa. Come «discarica»: fuori da Porta Vercellina (piazzale Baracca) s’usava gettare carogne di animali, in barba ai severissimi divieti. E anche come palestra d’arrampicata, con i contrabbandieri, gli «sfrosatori», che di notte scalavano la cinta per portare la «merce».
Ma i Bastioni, nonostante l’incuria e il logorio dei secoli, nonostante le continue aperture, erano il perimetro amministrativo, la cinta daziaria. Ed erano il confine della città. Oltre c’era la campagna. «Quando si andava in bicicletta fuori porta veniva spontaneo mettersi a cantare. Le case, le strade, i quartieri, l’intera città sparivano di colpo come per un gioco di prestigio. Fulmineamente, lo spazio si apriva e il tempo sembrava rallentare i suoi ritmi», scrive Aldo Genovesi. Lui è l’autore dei testi del libro «Milano. Quando fuori porta c’era la campagna» a cura di Gianni e Maurizio Maiotti, Edizioni Carte Scoperte. Un testo di oltre cento pagine (34,50 euro), presentato domani alle 18 al Museo di Storia contemporanea, via Sant’Andrea 6, dall’Unione Lettori Italiani. Alla serata, in ricordo del giornalista Guido Vergani, partecipano Marilena Poletti Pasero, Marta Boneschi, Salvatore Carrubba e Guido Lopez.
Il libro fa parte della collana «Città sulla carta», dedicata proprio alla metropoli ambrosiana (gli altri titoli della collana, usciti l’anno scorso, sono «Hinn adrée a bombardà Milan» e «El coeur de Milan»).


Nelle pagine scorrono le fotografie, molte inedite, della Milano tra fine Ottocento e i primi decenni del Novecento: dal vecchio arco di Porta Vercellina ai Bastioni di viale Papiniano, dalla demolizione della vecchia stazione ferroviaria di piazza Fiume (oggi Repubblica) ai nuovi stabilimenti Motta nell’ultimo tratto di viale Corsica. Un bel viaggio sul filo della cinta e lungo i terrapieni della ferrovia. E per qualcuno anche un viaggio verso un altro confine, quello della memoria.

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