Un «Domani» di Ronconi che riserva poche sorprese

Il progetto kolossal del regista a Torino sembra un comizio elettorale

Enrico Groppali

C'era una volta il grande teatro italiano delle cosiddette «regie d'autore» che, nella fattispecie di un'opera complessa e ambiziosa come la shakespeariana Troilo e Cressida, aveva, fino a ieri, attratto tre cavalieri di belle speranze di nome Luchino Visconti, Luigi Squarzina e Giancarlo Cobelli. I quali, alla vigilia degli anni cinquanta il primo, a metà anni sessanta il secondo e, più di recente, il terzo si confrontarono, ciascuno a suo modo, col testo anomalo e affascinante del Bardo. In tre spettacoli passati, per diverse ma stimolanti ragioni, alla storia della nostra drammaturgia. Dato che Visconti fece rizzare, al Giardino di Boboli, nientemeno che una nuova Troia puntando tutte le sue risorse sul mito poetico della favola tragica, Squarzina attualizzò la guerra con un occhio sarcastico e velenoso al Medio Oriente mentre Cobelli volle compiutamente descrivere, tra le bombe e la morte, il desolato cabaret in liquidazione cui si era ridotta la vita.
Ma nessuno di loro iscrisse Troilo e Cressida al centro di un progetto multimiliardario pomposamente denominato Domani. Dove il dramma del poeta tutt'uno agli inediti (per noi) Atti di guerra di Edward Bond nostro contemporaneo, ha il compito di un'implicita accusa contro il Signore della Guerra (alias Bush) come ha appena fatto la Madre Coraggio del Piccolo di Milano. Mentre gli altri tre tasselli promossi dalla Fondazione Teatro Stabile di Torino in occasione delle Olimpiadi della Neve ambiscono allo status di Manifesto pre-elettorale. Dato che allineano in primo piano l'economia (Lo specchio del diavolo), la storia di parte (Il silenzio dei comunisti) e addirittura la vexata quaestio dell'alimentazione transgenica (Biblioetica). Oltre a configurarsi come un maxifestival in onore di Ronconi (sul che non ci sarebbe nulla da ridire), l'operazione a fondo perduto voluta dall'Ente torinese che, con un inaudito spiegamento di mezzi e di risorse, allinea un nugolo di produzioni destinate (Troilo escluso) a sparire in poco più di un mese, assume quindi il senso di un'esibizione di valori e benemerenze che, a un passo dal voto di aprile, l'Unione promuove, sottoscrive e propaga in ogni possibile direzione. Servendosi dei fondi speciali per proclamare la propria idea di cultura, la propria egemonia in caso di vittoria ai seggi e, in definitiva, il proprio concetto di welfare. È un'ammirevole strategia di propaganda che fa ricorso al teatro come veicolo di suggestione emotiva e che, non essendo mai stata praticata altrove, non ha precedenti in Europa. Dal momento che persino Peter Brook, l'unico tra i colleghi di Ronconi ad aver trasposto con esiti altissimi l'antropologia a teatro, pur non facendo mistero (ci mancherebbe altro!) delle proprie convinzioni, si è ben guardato dall'applicarle sulla scena preferendo, come ogni artista che si rispetti, descrivere quella che, ai suoi occhi, si configura come la condizione umana. In ossequio dunque a questi sani principi, cosa ci fa vedere Ronconi? Nel Troilo dissemina per sei ore un florilegio di ascensori che innalzano pietre, mattoni e rocce con sopra abbarbicati gli attori mentre un'asta da passaggio a livello spartisce nei campi avversi i troiani e gli achei.

Poi disloca due ottimi attori come Giovanni Crippa e Tommaso Ragno confortati dal Calcante di Riccardo Bini in una pletora di avventizi bercianti mentre, negli Atti di Bond, si rifà al Brecht più didascalico e datato mettendoci di suo le consuete corse, rincorse, passeggiatine nevrotiche e frequenti deambulazioni che strappano l'applauso alla platea dei suoi aficionados. Il resto? Lo vedremo alla prossima puntata.

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