«Da domani si gioca a non buttare via i soldi Con le mazzette vere»

«Fa ridere parlare di esordi», dice Gerry Scotti, veterano e re del quiz televisivo che domani, nel preserale, debutterà su Canale 5 con The Money Drop, game multinazionale (in onda in 27 Paesi) targato Endemol. «A quell’ora, dopo sette anni di Passaparola e dieci del Milionario, il peggior nemico di me stesso sono io. Però, quando mi hanno mostrato per la prima volta The Money Drop ho avvertito le stesse sensazioni di quando vidi Chi vuol esser Milionario?».
Ma con tutte quelle mazzette in vetrina The Money Drop sembra più politicamente scorretto.
«Sono 40 mazzette da 25mila euro l’una che in totale fanno un milione. Se vogliamo parlare di mazzette le hanno prese tutti. Quindi è un gioco bipartisan».
La scorrettezza sta anche nell’esibizione di un ricco montepremi in un momento di grande austerità.
«In questo gioco il montepremi si perde, non si vince. Il concorrente, anzi la coppia di concorrenti (fratelli, coniugi, fidanzati, nonno e nipote ecc.) parte con la dote di un milione e a ogni risposta errata vede il denaro sparire dentro una botola. Non ci sarà l’idea di fare il colpo che cambia la vita. Ma si avrà la percezione che se si hanno i soldi basta poco per perderli».
Sembra molto diverso dal Milionario...
«Al Milionario m’infastidivano quei concorrenti che non rischiavano per conservare un bottino di 100mila euro e magari se ne andavano borbottando. Qui chi salva 25mila euro se ne va contento».
E con la tracciabilità come la mettiamo?
«Il montepremi è lì, visibilissimo in tv. Quel milione è il denaro più tracciato d’Italia. C’è anche la security in studio per sorvegliare su tutto, pubblico compreso. Chi avrà vincerà grosse cifre sarà tassato all’origine. Anzi, The Money Drop è caduto a fagiolo in un periodo in cui diventerà sospetto girare con 50 euro in tasca. Semmai il problema della tracciabilità riguarda chi va in giro con i rotoli di banconote in tasca. E poi la riflessione da fare è un’altra, se mi posso permettere...».
Prego.
«Secondo me la faccenda sta soprattutto nel come si spendono i soldi. È di questo che dobbiamo vergognarci, dell’esibizione del lusso, la macchinona tronfia, l’orologio smargiasso. Non saranno gli impiegati, gli operai o gli artigiani che vengono ai nostri quiz e rappresentano l’italiano medio a usare il denaro in modo allegro».
Le è mai capitato di favorire qualche concorrente?
«Mi è capitato di sapere che speravano di vincere per pagare un trapianto o un delicato intervento a un parente. Ma per pudore e discrezione né io né il concorrente abbiamo indugiato su queste situazioni. In The Money Drop il ruolo del presentatore sarà ancora più neutro perché il tempo di risposta, un solo minuto, è così breve che non riuscirò a evitare che facciano delle bestialità».
In tempi di strapotere bancario, le vincite continuano a essere erogate in gettoni d’oro.
«È la formula del quiz tv e il risultato di un regolamento ministeriale. Anche se non siamo in grado di proporre modifiche di legge, credo sia scorretto che un concorrente vincitore, oltre al 20 per cento di tasse debba perderne un altro 10 cambiando i gettoni in denaro. Sarebbe più giusto pagare con un assegno o un bonifico bancario».
Se funziona, addio Milionario. Che audience si aspetta?
«Il vero addio al Milionario l’ha deciso chi ha voluto usarlo ininterrottamente per dieci anni. Era un format da dosare, proponendo venti, trenta puntate alla volta. Noi ne abbiamo fatte anche 300 consecutive. L’audience? Tra il 18 e il 20 per cento sarebbe una buona partenza. Esordire sotto le feste non è il momento migliore. Forse sarebbe stato meglio farlo in un periodo di minor distrazione.

Il Milionario partì al 32 per cento e poi scese fino al 16. Con l’aumento dei canali e dell’offerta la frantumazione degli ascolti è sotto gli occhi di tutti. Se un coccio si rompe in tre pezzi è un conto, se si frammenta in venti o trenta rimetterlo insieme è dura».

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