Alberto Pasolini Zanelli
da Parigi
Al termine di una lunga e penosa discussione con Dominique de Villepin, Colin Powell si presentò ai giornalisti accreditati al Palazzo di Vetro con un gemito: «Se solo il mio collega francese facesse delle proposte, invece di parlarmi di poesia». Erano i giorni del dibattito prima dellattacco americano allIrak, quelli della più rovente polemica fra due antichi alleati, della Francia e della Germania bollate da Donald Rumsfeld come «vecchia Europa».
La replica di Villepin aveva appena prodotto un fenomeno senza precedenti nella storia e nel protocollo del Consiglio di sicurezza dellOnu: un applauso a scena aperta. Lo aveva strappato pronunciando il proprio orgoglio di parlare a nome di quella «vecchia Europa che nei secoli ha imparato che le guerre non servono mai a niente».
Bush ebbe egualmente la sua guerra, Chirac balzò ai picchi della sua popolarità grazie alleloquenza di Villepin. La guerra continua, la stessa delluomo dellEliseo è precipitata nella polvere. Villepin, nel frattempo, ha pubblicato un volume di poesie, una voluminosa raccolta di discorsi di stile e lessico da grand siècle e una storia dei Cento Giorni. Settecento pagine e un titolo che dice molto: «I Cento Giorni ovvero lo spirito di sacrificio». Quello di Napoleone. Per inciso, egli ha ricoperto per diversi mesi la carica di ministro dellInterno, prima di completare la triade richiesta con la nomina di ieri a primo ministro di Francia.
Il suo «spirito di sacrificio» attende ora la sua prova più dura. Il piccolo altissimo Napoleone di questo impenitente bonapartista, Jacques Chirac, appare a tutti in via di imbarco su una fregata che lo porti a SantElena. Un uomo piccolo e ambizioso come Bonaparte, Nicolas Sarkozy il Dinamico, si prepara a prendere il suo posto come leader della destra francese, con la fama di uomo della Restaurazione cioè «liberale, comunitario e atlantista». Parole di Villepin, pesanti come lapidi nel contesto politico della Francia.
Lui, lautore, sceglie questo momento di incipiente «tutti a casa» per guidare lultima carica della Vieille Garde, da lui descritta magistralmente metro per metro sul campo di Waterloo. Aggiungiamo, per completare il paradosso, che Nicolas è venuto dalla gavetta ascendendo attraverso i ranghi parlamentari e che Dominique non è mai stato candidato a niente e ignora lebbrezza e la banalità di essere eletti dal popolo. Stile e carriera da aristocratico del Settecento al servizio di una causa quasi giacobina: è un modo tra i tanti di essere gollista nella Francia del 2005, alla maniera di Jacques dellEliseo due giorni dopo la débâcle di questultimo nel referendum sullEuropa.
Chirac è ormai il passato, Sarkozy lavvenire. E Villepin? Gli tocca gestire un presente difficile, «cento giorni» che potranno durare sette volte tanto, fino alle prossime Presidenziali in cui egli difficilmente sarà candidato. Due anni di compromesso? Potrà essere il suo compito, forse anche il suo destino: certamente non sono nel suo stile. Questuomo dal tratto aristocratico e dagli interessi culturali raffinati disprezza in realtà le manovre dietro le quinte e i compromessi di salotto o di assemblea. Ama le rotture, i rischi, le scommesse.
Fu lui a suggerire a Chirac, nel 1997, la sfortunata idea di convocare elezioni anticipate sciogliendo un Parlamento in cui la destra disponeva di una maggioranza di sogno: quattrocento deputati su cinquecento. Come sappiamo ormai tutti, vinse la sinistra.
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