Il Don Chisciotte di Scaparro è un «no-global»

Michela Giachetta

Sempre in bilico fra passato e futuro, ancora immerso in una realtà del ferro, pur sognando l’età dell’oro, ritorna il Don Chisciotte di Maurizio Scaparro. Vent’anni dopo, in una nuova edizione, il Don Chisciotte - frammenti di un discorso teatrale nell’adattamento dello spagnolo Rafael Azcona, Tullio Kezich e dello stesso regista, calcherà le scene del teatro Argentina, dal 29 novembre al 18 dicembre.
«Questo spettacolo, che nasce in un periodo di grandi mutamenti, è dedicato alla fatica e alla passione di tutti coloro che in teatro vivono, in mille modi diversi, una vita che rincorre i sogni e prova a immaginare il futuro - spiega Scaparro -. Ma è tutto meno che una ripresa del mio precedente lavoro».
«Vent’anni fa non parlavamo di globalizzazione - continua il regista -. Oggi Don Chisciotte appare sempre più confinato nella sua terra, la Mancha, lontana anni luce dal mondo globalizzato. E anche per questo il cavaliere utopico di oggi è più solo. Soffre la solitudine crescente del diverso, del pazzo, del sognatore, di chiunque tenti di sfuggire all’omologazione del pensiero e dei sentimenti». Quello che resta immutabile è, invece, l’amore per una Dulcinea che non si trova e cambia continuamente sembianze. «A pervadere l’opera di Cervantes - aggiunge Scaparro - è l’incertezza del desiderio che anima Don Chisciotte, personaggio nel quale si traduce il senso stesso del teatro, che cerca la verità attraverso l’illusione, ed è per questo, come ricorda Foucault, il più vicino alla follia». La vicenda del libro è nota: sono i libri a provocare la pazzia del nobile. La lettura dei romanzi cavallereschi ha prodotto quell’inversione tra realtà e finzione che sarà alla base di ogni sua avventura. Don Chisciotte, che non sa essere spettatore nemmeno di un teatro di burattini, scambia i mulini a vento per giganti, villane per cortigiane, osterie per castelli, pentole per elmi. Nell’adattamento lo spazio in cui si svolgeranno questi viaggi della mente di Don Chisciotte sarà semplicemente un vecchio teatro dove sopravvivono vecchi strumenti che un tempo muovevano il sipario, creavano il vento, la pioggia e i tuoni. Gli antichi trucchi che sapevano regalare illusioni e sogni a un teatro senza tempo.

La figura del cavaliere triste sarà interpretata, come vent’anni fa, da Pino Micol: «Non ho la sensazione di riprendere uno spettacolo già fatto - afferma Micol -, ma di essermi imbattuto in una cosa totalmente nuova. Oggi, forse, mi avvicino a Don Chisciotte con l’età giusta». Gli attori, come vent’anni fa, interagiranno con i Pupi dei figli d’arte Cuticchio, con le musiche di Eugenio Bennato. Info: 06/684000345.

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