Don Gallo si fa un film: Gino Paoli sindaco

Don Gallo si fa un film: Gino Paoli sindaco

Don Andrea Gallo «mugugna» su quella realtà degli anni Cinquanta e Sessanta che non c’è più. Gino Paoli lo segue a ruota. Le solite parole, mugugni, critiche, ma quando il «prete rosso» attacca con le sue esternazioni politiche e va sul concreto, l’altro accorcia le braccia, come è tipico del genovese «doc».
Una cosa è prestarsi a fare l’attore per il film «Una canzone per il Paradiso» girato ieri nella via del Campo di Fabrizio De André, dei marinai, portuali e lucciole per raccontare la storia di Genova e dei suoi cantautori. Un’altra cosa è prestarsi alla politica e impegnarsi nell’amministrazione della città. «Gino Paoli - dice Don Gallo - ormai è il massimo rappresentante dei genovesi. Altro che la Vincenzi. È l’unico che in pratica può fare qualcosa per far rinascere Genova. Dovrebbe candidarsi per diventare sindaco della nostra città. Io posso dargli una mano e fare l’assessore dei più poveri e dei diseredati». «Non sono mica matto - replica Gino Paoli - anche se negli anni d’oro del dopoguerra la città era vivissima e adesso è quella che è».
«Gino ha ragione - ribatte Don Gallo - è uno di quelli che non si credono Napoleone, come lo si crede qualcuno. Tuttavia, proprio per questo, Genova ha bisogno di gente come lui. Ha vissuto la città porto ovvero aperta a tutti, quando i carruggi erano il cuore pulsante, dove tutti s’incontravano e dove si creava sia dal punto di vista sociale, sia della cultura, come durante la magnifica stagione degli anni ’50 e ’60. Nel XVI secolo a Genova svettavano molti minareti. Oggi ci vogliono 15 anni per fare una moschea: roba da matti».
Poi l’affondo sulle «scelte» dell’amministrazione comunale, governata da anni dai «compagni».
«Amministrare significa fare delle scelte precise - dice Gino Paoli - in politica contano quelle. Le altre sono parole. Hanno scelto di fare i centri commerciali, con il risultato che i negozi dei carruggi, dove una volta i genovesi venivano a comprare da tutti i quartieri della città, si sono dovuti chiudere o sono in crisi. Non si vede più manco un gatto - pardon - una gatta in giro. Negli anni dei cantautori, il centro storico e la città erano vivi. Adesso si vivacchia. I genovesi hanno perso la loro proverbiale saggezza». Poi le altre esternazioni sui «sì, sì, sì» per i referendum e via, ma di candidarsi a sindaco non se ne parla proprio più. Meglio continuare a girare il film del regista nostrano Nicola Di Francescantonio, con «l’assistenza» della Film-Commission, sovvenzionata dal «compagno» governatore Claudio Burlando. Le lucciole sopravvissute e «superate» dalle transessuali, non scendono nella via XX Settembre dei «carruggi» per partecipare al docu-fiction, ma sono interpretate da due attrici. Di «gatti e gatte» in giro non ce n’è più. Chitarre e cantautori neanche.

Al loro posto i marocchini sgranano gli occhi davanti a tutta quella scena. E i «bassi» ormai sono pieni di extracomunitari in fila al «phone center» per la telefonata oltremare oppure al «food shop» per gustarsi un kebab.

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