Cultura e Spettacoli

Don Giussani Più che un prete un lottatore

Riecco il libro che spiega il vero don Giussani, del quale non sempre nei vari scritti e discorsi in occasione della sua morte nel febbraio scorso sono stati colti i tratti più genuini. È Rizzoli che lo ristampa: Luigi Giussani, Il rischio educativo, 140 pagg. 13 euro. In questi suoi scritti dedicati ai giovani c’è il più autentico don Gius, un po’ diverso in verità dall’iconografia che ne hanno diffuso i seguaci. Conobbi don Giussani nel 1975. Il Giornale era nato da circa un anno, e c’eravamo occupati più volte del suo movimento, Comunione e Liberazione, che s’era segnalato già nel 1974 per l’opposizione al divorzio e che nelle votazioni amministrative del 1975 aveva fatto eleggere alcuni candidati nelle liste democristiane. Il nostro interesse per il movimento era dovuto soprattutto al fatto che i giovani ciellini si segnalavano per la loro presenza attiva nell’Università. A me capitò di vedermi affidare da Montanelli un giovane praticante, proveniente da quelle file, Paolo Mazzanti, assai intelligente e preparato. Cl, allora, era un po’ in sospetto presso gli ambienti dell’episcopato, anche se a Milano Montini ebbe verso Giussani grande attenzione che mantenne anche da pontefice. Meno condiscendenti, però, i suoi successori alla Curia lombarda, perché nel frattempo Cl s’era attrezzata organizzativamente, tendeva a distinguersi dall’Azione Cattolica e dalle Acli, cominciava ad occuparsi di attività economiche. Giovanni Bianchi, oggi deputato della Margherita, già presidente delle Acli, in un suo scritto in morte di Giussani ricorda gli inizi di Cl, che, dice, «non furono facili, né per il fondatore né per la sua creatura». Il Sessantotto, aggiunge Bianchi, «portò via a Cl molti quadri». In effetti la contestazione conquistò non pochi ciellini. Un giorno del 1975 Montanelli mi incaricò di cercare di capire che cosa era veramente Comunione e Liberazione, che stava diventando un fenomeno importante ma anche controverso. Fu così che cercai contatti con don Giussani. Lo invitai a colazione al ristorante Cavour, da Alfio, in via Senato, dove venne puntualissimo accompagnato da un giovane. Avemmo una lunga conversazione, di cui ho un ricordo indimenticabile. Il personaggio, lo confesso, mi affascinò. Mi apparve un prete eccezionale, con una grande capacità di coinvolgimento. La faccia da prete non ce l’aveva proprio, e neppure il modo di discutere. Appariva un lottatore, con la vena del grande educatore, quale è stato veramente e come documentano gli scritti raccolti nel volume qui citato. Gli feci, in quell’incontro, una osservazione un po’ provocatoria: «I suoi giovani - gli dissi - usano linguaggio e concetti da extraparlamentari, che li avvicina ai contestatori più massimalisti. Non crede che la pratica di certo linguaggio possa trasformarsi in contenuti e valori tutt’altro che cristiani?». La sua risposta fu: «Quel linguaggio serve per poter aprire un colloquio con i contestatori e creare le condizioni per portarli verso la nostra verità» Era, insomma, un prete con una grande apertura intellettuale. Sono interessanti le testimonianze di Renato Farina, nato a Desio come lui e che lo ebbe maestro e amico. Due frasi di don Giussani meritano d’essere annotate per il loro valore morale, culturale e anche storico: «Se non ci sarà prima la fine del mondo, cristiani ed ebrei saranno una cosa sola nel giro di 60-70 anni»; «Se il movimento - cioè Cl - non ha una presenza attiva in America, sarebbe come se i primi cristiani non fossero andati a Roma. L’America è la Roma di oggi. Ciò che succede in America ha un effetto in tutto il mondo». Sì, era un personaggio di grande spessore, espressione della più nobile e civile tradizione lombarda. La sua immagine più significativa è in quella foto ormai famosa fatta nel 1956 in cima al Faro di Portofino insieme con i ragazzi del ginnasio Berchet, dove insegnò religione, proveniente dalla cattedra di teologia al seminario di Venegono. Amava la musica, particolarmente Beethoven, leggeva Dostoevskij, sapeva gustare sigari e buon vino. Il suo primo e profondo interesse era rivolto all’educazione degli adolescenti, ai quali insegnava i valori della vita. Diceva loro: «Vi auguro di non essere mai tranquilli». Come fu lui, in effetti, nei suoi 83 anni di vita piena di voglia di conoscere e lottare per le cose in cui fermamente credeva. Dei problemi, lui sacerdote, si sforzava di avere anche una visione laica.

Il che forse è stato determinante per il successo del suo apostolato.

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