Don Michele, funzionario comunista prestato alla tv

Trent’anni da tribuno nelle piazze mediatiche. Ora gli resta soltanto da trovare una "degna morte" e la sua leggenda sarà completa. Il principe dei guru anti Cav non disdegnò negli anni '90 di lavorare a Mediaset

Don Michele, funzionario comunista prestato alla tv

Come accade per tutti i grandi personaggi della Storia, e anche per le piccole comparse della cronaca, nella vita e nella carriera di Michele Santoro la realtà si confonde spesso con la leggenda, che lui stesso peraltro ama alimentare. Sempre più profeta che conduttore, sempre più paraguru che giornalista, Michele Santoro da Salerno, classe 1951, compirà a luglio i sessant’anni, di cui oltre quaranta di militanza, sia politica che giornalistica. Del resto per lui le due cose hanno sempre coinciso. Il «pezzo» giornalistico, gli ha insegnato von Clausewitz, è solo la continuazione del programma di partito con altri mezzi mediatici.
Iniziò l’attivismo politico nel gruppo maoista Unione Comunisti Italiani nell’immediato post-’68 e, contemporaneamente, la carriera giornalistica sul periodico Servire il popolo, edito dalla stessa organizzazione. Da Servire il popolo al servizio pubblico ci mise una quindicina d’anni, anche meno: nel 1982 era già assunto in Rai - non casualmente Tre - dopo regolare cursus honorum che ha conosciuto le sue tappe più prestigiose nella direzione del quindicinale del Pci La Voce della Campania e un’altalenante collaborazione con l’Unità. Comunque, sotto le balze lottizzate della gonna di mamma-Rai, Michele Santoro ha lavorato al Tg3, realizzato molti speciali, e condotto programmi tra cronaca, politica e polemiche come Samarcanda - dove si guadagnò i gradi di «Santorescu», per i suoi modi particolarmente democratici nel gestire la redazione - Il rosso e il nero e Tempo Reale. Dopo 14 annualità e corrispettiva liquidazione, il «grande balzo in avanti», sempre memore di Mao, riletto in salsa capital-berlusconiana: dalla Rai a Mediaset, in casa del nemico, per colpirlo meglio. Sotto Berlusconi, posizione che allora evidentemente gradiva, Santoro diventa direttore di una testata giornalista su Italia 1 e uno dei grandi giornalisti d’assalto d’Italia. E sì che qualcuno, per fare lo spiritoso, quando parlavano di lui, chiedeva: «Michele chi?». Michele capitalizzò l’insulto e ci intitolò persino un libro. Che per poco non pubblicò Mondadori.
Ma, come aveva già teorizzato e messo in pratica il suo nume tutelare Mao Zedong, ogni balzo in avanti è fatto solo se poi si torna indietro. E così, tre anni dopo, 1999, Santoro riappare in Rai. La cosa, dentro l’azienda, non fa per niente ridere parecchia gente. E lui intitola il suo programma Circus. Nel 2000 nasce Sciuscià e subito dopo Il Raggio Verde. Il format, in fondo, è sempre lo stesso, quello fortunatissimo di Annozero: uno studio dove gridare alla libertà di stampa (la sua), denunciare le censure (degli altri), aizzare la piazza contro il potente di turno, che solo casualmente di solito è Berlusconi, stracciarsi le vesti per i vizi degli altri e indossare l’aureola per le virtù proprie. Una vita da tribuno. L’epopea dell’«editto bulgaro», del suo allontanamento dalla Rai, dell’elezione a parlamentare europeo con l’Ulivo e la reintegrazione milionaria in video, tra il 2002 e il 2006, è già leggenda. Che come ogni leggenda che si rispetti divide il popolo in due: metà Italia lo ritiene un fazioso insopportabile, l’altra metà un eroe della libertà di pensiero.
Va’ pensiero, e torna presto. Incapace di stare lontano dalla piazza - che ama più delle sue donne che sono tantissime e più delle sue case, che sono parecchie - Michele Santoro è sempre stato coerente, bisogna dargli merito, con un’idea, al di là delle televisioni in cui gli capita di andare in onda, e cioè che il ruolo di funzionario di partito è inscindibile da quella di giornalista di parte. Fazioso chi?
E per il resto, come ha detto un grande giornalista che non gli vuole troppo bene, Santoro non cerca tanto la verità, ma la «bella morte».

Gli piace condurre, ma soprattutto fare il martire. Va a caccia di proscrizioni ma forse sono solo buonuscite. Perché come diceva Mao: la primavera è una buona stagione per farti cacciare, ma l’autunno è perfetto per ritornare.

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