"Don Oreste mi ha strappato dalla schiavitù"

La testimonianza di Alina, 23 anni, portata in Italia con l’inganno e costretta a vendersi. Il sacerdote l’ha liberata. "Mi ha detto che mi avrebbe aiutato. Mi ha rassicurata, perché tutto sarebbe andato bene. Mi sono sentita come aiutata dal Cielo"

da Milano

Alina ha ventitrè anni e gli occhi lucidi di pianto. La sua è una storia purtroppo comune a tante coetanee dell’Est. Racconta al Giornale: «Sono nata e vissuta a Kiev, in Ucraina. Ho tre fratelli più piccoli e quando avevo diciott’anni ho deciso di accettare la proposta di un lavoro all’estero perché mia mamma doveva essere operata al cuore e non c’erano soldi in famiglia». Comincia così la sua terribile storia, la ragazza, una delle seimila giovani schiavizzate che don Benzi e i suoi volontari hanno strappato dalla strada restituendo dignità e la possibilità di costruirsi un futuro.

«Mi avevano detto che avrei dovuto aiutare gli anziani - racconta Alina, commossa per la scomparsa di don Oreste - e avevano assicurato che mi avrebbero insegnato la lingua del Paese dove sarei dovuta andare. Sono partita in treno, poi sono venuti a prendermi in macchina. Mi hanno legata e nascosta nel bagagliaio. E mi hanno portata alla periferia di Milano. Quella sera stessa mi hanno sbattuta sulla strada, a prostituirmi». In tanti hanno criticato don Benzi, dicendo che la stragrande maggioranza delle prostitute sceglie di fare quel «mestiere». Alina fa una smorfia. Lei conosce bene l’esperienza di tante sue coetanee. «Mi hanno minacciata di morte, hanno detto che avrebbero ucciso i miei fratelli e i miei genitori se io non avessi cominciato a battere sulla strada. Avevamo istruzioni precise: se ci fermava la polizia, dovevamo dire di essere lì per nostra volontà, dovevamo dire di essere libere. Invece eravamo schiave».

Il sogno di questa ragazza dagli occhi azzurri s’infrange nel freddo di una notte, nell’hinterland milanese. Costretta a vendersi, costretta a dare tutto ciò che guadagnava ai criminali che l’avevano portata in Italia. «Dovevo portare almeno 400 euro al giorno, altrimenti erano botte. Se non ce la facevo mi pestavano a sangue.Non potevo tenere per me nemmeno un centesimo: ogni volta che tornavo nella casa abbandonata di campagna dove mi facevano stare insieme alle altre, venivo perquisita».

La triste avventura di Alina dura un anno. Un anno di sofferenze, di botte, di soprusi. La salvezza arriva una notte di dicembre del 2003. Un furgone si accosta al ciglio della strada dove la ragazza sta attendendo i clienti. È don Benzi, con la corona del Rosario in mano. «Mi ha chiesto se credevo in Dio, se ero cristiana. Mi ha chiesto quanto soffrivo». Alina dice di essere cristiana, piange, annota il numero di telefono dell’associazione. «Mi ha detto che mi avrebbe aiutato. Mi ha rassicurata, perché tutto sarebbe andato bene. Mi sono sentita come aiutata dal Cielo». La sera successiva, quando è di nuovo sulla strada, Alina riesce a telefonare a don Benzi, che subito la manda a prendere strappandola per sempre alla schiavitù della strada. «Ho denunciato i miei “protettori”, sono stata accolta in comunità. Oggi ho un lavoro, a Rimini e dedico tutto il mio tempo libero come volontaria nell’associazione.

Vado anch’io a cercare di strappare dalla strada altre ragazze che hanno vissuto la mia stessa esperienza. Don Benzi per me è stato un padre: mi ha aiutato a cambiare vita, mi ha fatto sentire amata, mi ha insegnato l’amore vero, che è gratuità».

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