Politica

DON WALTER ABBONDIO

In questi giorni Walter Veltroni ricorda qualcuno. Un certo curato di campagna che cammina con la testa china, buttando con il piede, verso il muro, i ciottoli che inciampano nel suo cammino. Il suo nome, lo sapete, è Don Abbondio. Il vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Veltroni è un uomo che sa interpretare molti personaggi, la maschera manzoniana mancava. Il sospetto è che anche lui sia minacciato dai bravi. Lo sussurrano alcuni compagni di partito e lo temono i radicali. Cossiga invece lo dice con un mezzo ghigno divertito: «L’arresto di Del Turco è il primo avvertimento. Poi toccherà, come è già successo a quella di Mastella, alla moglie di Veltroni». E poi chiosa in sardo: «Capitto mi avvette?».
Certo che l’hanno capito. Il senatore a vita parla, si diverte e straparla, ma dietro i suoi teoremi c’è sempre un piccolo squarcio di verità politica. Tanto che qualcuno continua a chiedersi: ma che c’entra, o che c’azzecca, Veltroni con Di Pietro? Il quesito è antico e risale a quando il Pd doveva semplificare la scena politica italiana e fronteggiare, da solo, le armate di Berlusconi. Poi arrivò Tonino. Tonino descamisado, Tonino manette e trattore, Tonino piazza, blog e girotondo. Tonino che non dialoga, Tonino «partito dei giudici», Tonino di destra e di salotto. Il risultato è che Veltroni è diventato piccolo, balbuziente, titubante, sgridato dalla Bindi e con D’Alema alle spalle che si sbraccia e gli fa il vuoto intorno: sta male, poverino, lasciatelo solo. Aria, aria.
A questo punto qualcuno pensa che Veltroni ritrovi il coraggio e riprenda il timone di questo Pd sempre più naufrago. Tutti si aspettano che prima o poi Veltroni dica al mondo dove sta andando, qual è la rotta. E invece niente. La piazzetta insulta Napolitano? E lui: un passo avanti e due indietro. Mostra il ditino a Di Pietro, ma poi gli stringe la mano. Arrestano gli abruzzesi, decapitano una regione a guida Pd e per mezza giornata il leader sta zitto. Quando parla chiede ai suoi uomini di dimostrare la loro innocenza. Certo signori giudici, l’onere della prova spetta agli imputati. Il giorno dopo: bacchettate bipartisan, uno schiaffo dal Riformista e una sculacciata dal Corsera. Il messaggio è: Veltroni, prova a dire qualcosa. Non qualcosa di sinistra. Qualsiasi cosa. Magari sulla giustizia.
Va bene anche un dubbio, una domanda. Ma erano proprio necessari luci, sirene, manette e tre giorni d’isolamento? Oppure: a chi giova agitare lo spettro di Tangentopoli? Stagione di rottura, rivoluzionaria, atipica. Un’ultima ratio che se si ripete segna la debolezza strutturale del sistema politico, sociale e istituzionale. La risposta è facile: giova a Di Pietro. Ma ogni volta che Di Pietro ingrassa il Pd muore ancora un po’. E allora? Allora nulla.

Veltroni tace, come un vaso di coccio tra vasi di ferro.

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