Caro Direttore, ho apprezzato molto l'analisi di Annamaria Bernardini de Pace, pubblicata laltroieri sul Giornale, perché ha tolto un altro velo all'annoso dibattito sul ruolo delle donne e sul femminismo, ancora coperto da strati di retorica. Il problema è che in questo Paese si vive tutti appoggiati sullo stereotipo della Donna Madre, e guai a toccarla.
Sfiorando con critiche una donna, si sfiora in fondo la propria madre e nessuno, uomo o donna, vive con serenità e chiarezza il proprio rapporto con essa. Quindi non c'è, non può esserci per ora, sincerità in questo dibattito. Onore alla Bernardini de Pace che ci prova, e che non a caso è, mi sembra, una donna che si è realizzata scegliendo di non affidarsi a un mediatore uomo.
Sto per dire cose ovvie, ma le ovvietà nel dibattito sul femminismo possono suonare talvolta come aria fresca. Da sempre le donne sono costrette a costruire la propria vita legate ad un uomo, sia esso un padre, un fratello, un marito, un figlio, un amante. Da sempre, se vogliono cambiare le cose che non gli piacciono, devono agire stando un passo indietro e comunque intermediate dall'azione di un uomo. Cherchez la femme è uno dei motti più brillanti che la nostra cultura porti con sé.
Da tempi molto recenti, e il femminismo ne ha gran parte del merito, le donne hanno acquisito la libertà di poter agire finalmente disintermediate dall'uomo. Stanno conquistando spazi e ruoli pubblici, istruzione, riconoscimento di diritti fondamentali. Hanno ampliato grandemente, sebbene con immane fatica, la propria libertà di scegliere che cosa essere.
Ma la libertà di scelta porta con sé una ulteriore presa di responsabilità, e su questo molte donne non si sono dimostrate altrettanto pronte. Scegliere impone due responsabilità: scegliere bene per sé, esercitando grande onestà nel conoscersi e nel desiderare, e portare avanti le proprie scelte, se possibile fino alle estreme conseguenze. Ma una volta in gioco aperto, ancora inesperte rispetto alle logiche del potere per le quali non sono attrezzate, una volta esposte in prima persona alla sfida per l'affermazione di sé, molte donne si sono scoperte
nude. E la nudità libera, ma crea imbarazzo. Nude dell'oppressione-protezione maschile dietro la quale si sono sempre dovute o volute nascondere, nude del filtro delle azioni ispirate ma non portate avanti in prima persona. Nude e perciò protagoniste.
Ma il protagonismo è faticoso, determina attacchi, conflitti, rende pari agli altri, chiede costanza e consente poco vittimismo. Non si sa dove, all'occorrenza, nascondersi. E alcune donne, semplicemente, hanno ritenuto che si stesse meglio prima, vestite del proprio uomo di riferimento, quando le cose le ispiravano loro, ma se c'era un problema o un insuccesso la responsabilità poteva essere d'altri. E così hanno deciso di tornare lì, al mediatore, ritenendola in fondo una strada meno impervia. Non è colpa di un femminismo irrisolto, non è il fallimento di una fase storica.
È invece una scelta del tutto individuale. E nella possibilità di compiere questa scelta, certo non condivisibile, sta per ora la più grande acquisizione di libertà per le donne. Che poi questa scelta comporti per alcune anche la decisione di denudarsi il corpo, esporlo, piegarlo a supposti criteri estetici che garantiscano la conquista rettilinea del maschio, usarlo per acquisire spazio e potere, è una storia vecchia come il mondo.
*deputato del Pdl, membro della Commissione Pari Opportunità del Consiglio d'Europa
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