DONNE Il sogno di svestirsi da uomo

Nel 1967, all’università Cattolica di Milano, era vietato alle studentesse indossare i pantaloni. Basterebbe questo dettaglio per far capire quanto potesse essere disturbante, fino a non molti anni fa, una donna vestita da uomo. Vestita, anzi svestita: come recita il titolo del bel libro di Valeria Palumbo: Svestite da uomo. Donne in abiti maschili dalla Grecia antica all’Iran di oggi (Rizzoli, pagg. 344, euro 9,80). E, già dal sottotitolo, il riferimento all’Iran fa capire che si tratta di una storia ancora aperta: se, in Europa, moda e costume ci hanno ormai abituato a donne mascolinizzate e a uomini femminilizzati, in un Paese islamico «svestirsi» da uomo è ancora un rischio.
Le avventure delle donne in abiti maschili iniziano, in realtà, molto tempo fa. Sono storie di personaggi a volta molto famosi e a volte sconosciuti. Alcune, nella realtà o nella leggenda, hanno portato la barba dei Faraoni o la mitra del Papa, il giubbotto del pirata o la divisa dell’armigero. Valeria Palumbo, infaticabile indagatrice dell’universo femminile soprattutto nei comportamenti un po’ border-line (Donne di piacere, Sonzogno, pagg. 305, 16 euro; La perfidia delle donne, Sonzogno, pagg. 376 euro 17) ha scelto stavolta di offrire al lettore più che una galleria di ritratti un archivio di tipologie del travestimento. Assai diverse le une dall’altra ma accomunate da alcuni tratti fondamentali. Una minacciosa libertà e un’ambigua seduzione promanano dalle donne travestite da maschio. Le quali, al tempo stesso, ci ricordano, che, al di là di ogni discorso sul genere sessuale, la libertà contiene sempre una minaccia e la seduzione non è mai priva di ambiguità.
«Al principio, fra i sessi, era il caos», scrive Valeria Palumbo. In effetti, Platone, nel Simposio, metteva all’origine dell’umanità una generazione di «uomini-palla» androgini, dotati degli attributi di entrambi i sessi. Questi uomini si sentivano così potenti da sfidare Zeus, che alla fine decise di tagliarli a metà come fossero sogliole. La differenza sessuale è dunque un marchio dell’incompiutezza del genere umano. Viceversa, l’apparire di figure che racchiudono tratti di entrambi i sessi è un’epifania sovversiva. La leggenda greca delle Amazzoni, forse in parte basata sulla realtà di donne guerriere nelle steppe dell’Asia, ne è un chiaro esempio. La mascolinità delle Amazzoni è complementare alla loro semiferinità: quasi come Centauri, esse non si staccavano mai dai loro cavalli.
Ma le donne che si travestono da uomini non sono solo archetipi mitologici. Già nel II millennio avanti Cristo, la regina Hascepsut, di cui ora si sostiene di aver identificato la mummia, prima donna sul trono d’Egitto, indossò anche l’abito dei Faraoni maschi. Eleonora di Aquitania, nata nel 1122, moglie di Luigi VII re di Francia, non fu da meno. Vestiva l’armatura di crociato e il suo ingresso a Costantinopoli, con tutte le donne del seguito, fu descritto così dallo storico bizantino Niceta Coniate: «V’erano fra loro numerose donne che cavalcavano come gli uomini, vestite con costumi mascolini, con lance e armi, spudoratamente a cavalcioni su cavalli». Il potere, in qualche occasione, affrancava le donne dalle schiavitù del genere sessuale. Così la regina Cristina di Svezia, lesbica dichiarata, scandalizzò impunemente il mondo con i suoi atteggiamenti mascolini. Arrivando al punto di rinunciare al trono, per «ripugnanza» verso il matrimonio, e poi animando nella Roma della Controriforma, una sua corte privata e trasgressiva.
Questi, però, erano privilegi da regine. Le donne comuni che seguivano la stessa via andavano incontro a qualche difficoltà. Michel De Montaigne racconta come, nel 1580, nel distretto della Marna, sette o otto donne si fossero accordate segretamente per vestirsi e vivere da uomini. Una di loro, scoperta dopo molti anni, fu impiccata «con l’accusa di avere, con mezzi illeciti, ovviato ai difetti del suo sesso». L’avversione cristiana per il travestitismo affiora anche dalla leggenda medievale della Papessa Giovanna: una inglese che, tra l’853 e l’855, sarebbe diventata Papa, per poi essere scoperta in quanto aveva partorito durante una processione. Ma, in altri casi, la santità, come la regalità, amette l’androginia: alla leggenda della Papessa Giovanna fa da pendant quella di santa Wilgefortis che, per conservare la sua verginità, pregò Gesù di farle crescere la barba.
Al di fuori della leggenda, tutti conoscono la virginale mascolinità di Giovanna D’Arco. La pulzella di Orléans sta peraltro al crocevia tra l’androginia della santa e quella della guerriera. Il libro di Valeria Palumbo offre un vasto catalogo di donne che furono piratasse o soldatesse. Fino al caso celebre di Martha Jane Cannary, alias Calamity Jane, un maschiaccio che visse da bandito del West. Alla quale, in Italia, si può forse accostare Beppa la Cannoniera, che militò come Camicia rossa al seguito di Garibaldi.
Oggi le donne «svestite» da uomo sembrano non fare più scandalo. Portare i pantaloni è diventato un modo di rivendicare la propria emancipazione, almeno a partire da George Sand, che si fece maschio anche nel nome. Per altri versi, la civiltà dello spettacolo, se da un lato esaltava le pin-up alla Marilyn Monroe, dall’altro lasciava spazio ai modelli di una seduzione volutamente ambigua, come Greta Garbo. Che, in quanto lesbica, è testimone anche di un’omosessualità sempre più glamorous.

Ma in realtà oggi, da Platinette a Vladimir Luxuria, è l’uomo vestito da donna che piace anche alle famiglie. Sicché ogni tanto si sentirebbe il bisogno di una bella maschiaccia anticonformista. Per favore, ridateci Calamity Jane.

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