Intervistato ieri mattina da Radio 24, lonorevole Piero Fassino ha garbatamente respinto le proteste di Olga DAntona per la presenza di Adriano Sofri a un convegno sul partito democratico. Lo sconcerto della signora DAntona è più che comprensibile: suo marito è stato ucciso dalle Brigate Rosse, e Adriano Sofri ha una condanna definitiva a ventidue anni per un reato pressoché identico, lomicidio del commissario Luigi Calabresi.
Ma è accettabile o intollerabile che un uomo condannato possa partecipare a un dibattito politico? Insomma: ha ragione Fassino o la vedova DAntona? Debbo dire - a costo di generare forse qualche sconcerto tra i lettori - che in linea di principio la giustificazione di Fassino non è infondata. Il leader dei Ds, in sintesi, ha detto questo: Sofri è una persona che non si è sottratta al conto che la giustizia gli ha presentato; ha dato ampie prove di essere cambiato e di aver preso le distanze dalla violenza; è sicuramente un uomo di grande spessore culturale. Quindi, non si vede perché non possa dare un contributo al dibattito politico. «Sofri - ha detto ancora Fassino - da anni scrive su un quotidiano diffuso e prestigioso come Repubblica, e non risulta che a quel giornale siano arrivate lettere di protesta da parte dei lettori».
Lo dicevo prima: in linea di principio, non è un discorso sbagliato. Ci mancherebbe altro che un peccatore che si redime non possa parlare in pubblico e dare la propria testimonianza: altrimenti nel Nuovo Testamento non avremmo le lettere di san Paolo.
Il discorso di Fassino però è giusto, appunto, solo in teoria. In pratica no. Non lo è per il caso specifico di Sofri, e non lo è per una considerazione più generale.
Cominciamo dal caso specifico. Adriano Sofri è stato condannato, ma si è sempre detto innocente e sono in molti a pensare, soprattutto a sinistra, che lo sia davvero. Ora, i casi sono due. Se Sofri è la vittima di un errore giudiziario, non ha nessun bisogno di redenzione. Se invece è colpevole, non ci pare affatto un uomo redento, visto che nega la verità e non rende giustizia ai familiari di Calabresi. In entrambi i casi, il discorso di Fassino sulluomo che ha rinnegato il proprio passato e si sta riscattando, non sta in piedi. Cade.
Può darsi che Fassino sia tra coloro che ritengono Sofri innocente. Ma se il privato cittadino Piero Fassino ha tutto il diritto di credere ciò che vuole, luomo politico non può prescindere dalle sentenze della magistratura. Un conto è che un uomo condannato scriva su un giornale (nessuno è obbligato ad acquistare Repubblica), un altro è che partecipi alla nascita di un partito che starà alla guida del Paese. La parola della magistratura, onorevole Fassino, è Verbo solo quando accusa Berlusconi?
Pare insomma un classico esempio di quella «doppia morale» di cui era permeato tutto il pensiero del vecchio Pci.
Ma è soprattutto nella considerazione generale che ritroviamo la famigerata doppia morale. Il discorso di Fassino sul diritto dei condannati a non trascorrere il resto dellesistenza da sepolti vivi non fa una grinza, ma o vale per tutti o non vale per nessuno. E nel nostro Paese cè tutta una generazione di politici che è stata condannata al perpetuo oblìo per essere rimasta coinvolta nelle varie inchieste di Mani Pulite. Sono patetiche le lamentele dei vari girotondini e del milieu di Micromega sul fatto che tanti politici della prima Repubblica non siano stati troppo a lungo in carcere. La verità è che quegli uomini hanno subìto una condanna ben più pesante di un po di carcere: lergastolo sociale. Che ne è stato, ad esempio, degli ex sindaci di Milano Tognoli e Pillitteri? Spariti. Indesiderabili anche alle sagre di paese, altro che congressi del partito democratico. E se permettete (lo dice uno che non è mai stato socialista) i vari Tognoli e Pillitteri e perfino Craxi qualsiasi cosa abbiano fatto - non importa se per sé o per il partito - ma non hanno mai mandato sotto terra un commissario di polizia.
Non si tratta di difendere chi è stato accusato di aver preso tangenti.
Oppure, più semplicemente, la doppia morale è unaltra: ci sono gli amici, ai quali si perdona tutto, e i nemici, ai quali non si perdona nulla.
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