Doppio lavoro per Pertusi a Santa Cecilia e all’Opera

In una città come Roma, sede di due prestigiose istituzioni musicali (Opera e Santa Cecilia), può accadere che, a distanza ravvicinata e senza urgenze celebrative, si diano due opere rossiniane. Come può anche accadere, e accadrà fra qualche giorno, che le opere in cartellone appartengano a un’età della vita di Rossini abbastanza circoscritta, dal 1818 al 1828; e può perfino accadere che si diano due opere particolari per il campione dell'opera buffa, come il Mosè il Egitto, all’Opera da martedì 27 novembre; e il Guillaume Tell con cui Rossini, a Parigi, dà il definitivo addio alle scene, a Santa Cecilia da ieri in forma «da concerto» e in lingua originale con sovra titoli in italiano.
Ma certo non accade così facilmente che un protagonista vocale, il basso Michele Pertusi, insignito recentemente del «Rossini d’oro», negli stessi giorni faccia la spola fra Santa Cecilia e l’Opera, interpretando, a giorni alterni, Guglielmo Tell, il cospiratore elvetico che lotta per scacciare dalla sua patria gli Austriaci; e il Faraone che in tutti i modi tenta di trattenere gli ebrei guidati da Mosè, sordo perfino agli avvertimenti divini delle cosiddette «piaghe» d’Egitto.
Così Pertusi racconta la singolare coincidenza. «Prima è venuto l’invito dall’Opera, poi quello da Santa Cecilia, al quale non ho voluto rinunciare, per la presenza sul podio di Pappano, conoscitore e appassionato della vocalità come nessun altro. Perciò ci siamo accordati sulle date, per evitare sovrapposizioni, ed eccoci ora al debutto». Ma il nostro cantante non può però negare che essere un giorno cospiratore e uno tiranno comporti qualche problema». Guglielmo Tell e il Faraone - spiega Pertusi - riservano al basso-baritono quale io sono, una tessitura da “baritono drammatico”, con le classiche difficili colorature rossiniane nel registro acuto, e non poche difficoltà in quello basso.

La difficoltà principale di questi due ruoli sta nella necessità di far scaturire la “vena eroica” dei personaggi, specie in Guglielmo Tell, da una accorta disciplina musicale piuttosto che da atteggiamenti veristi, e la vera sfida romana risiede nel riuscire a creare, a Santa Cecilia, una teatralità in assenza della scena».

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