IL DOSSIER Gli stipendi della casta

Fatta la legge, trovata la deroga. Chi scamperà al tetto previsto per gli stipendi dei boiardi di Stato? Che, ricordiamo, è di 300mila euro, anzi 305mila, quello che spetta al primo presidente della Corte di Cassazione. Una cifra che, comunque, molti dei contribuenti che la manovra si prepara a colpire non vedono neanche col binocolo.
La novità di ieri è che, nel testo definitivo che oggi sarà votato dall’Aula della Camera, la norma che riguarda le superbuste paga contiene anche la possibilità di «deroghe motivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni». Una frase che si presta a varie interpretazioni: la partita è quindi ancora tutta da giocare. Tanto per fare un esempio, il Ragioniere generale dello Stato, Mario Canzio, guadagna 520mila euro: dovrebbe rinunciare a oltre 200mila euro. Oppure prendiamo il presidente dell’Antitrust - il neoeletto Giovanni Pitruzzella, che ha preso il posto di Antonio Catricalà chiamato nel governo Monti come sottosegretario alla presidenza del Consiglio - che, senza i tagli, si troverebbe in busta paga 475mila euro annui: per lui, la decurtazione sarebbe dunque di 170mila euro. Ma anche un dirigente di prima fascia dell’Agenzia delle Entrate si troverebbe a perdere circa un sesto del suo stipendio di 363mila euro annui.
Poi, c’è la questione dei doppi incarichi: lo stesso decreto prevede che i dipendenti pubblici chiamati a funzioni direttive nei ministeri o nella pubblica amministrazione abbiano un’indennità pari al 25% del trattamento economico percepito. Cioè perdano i tre quarti di uno dei due stipendi, a meno che non beneficino di una deroga. E subito il pensiero è corso ai molti esponenti del governo tecnico che sono anche dirigenti pubblici.
Il primo ad attaccare è stato il vice presidente dell’Italia dei Valori alla Camera Antonio Borghesi. «In questo testo già invotabile, il governo ha infilato anche una norma ad personam. Un comma ad personam, per l’esattezza, rivolto a chi, anche ministri di questo esecutivo, siede su poltrone di vertice all’interno della pubblica amministrazione ed evidentemente non ha gradito la norma che prevede la riduzione degli stipendi».
E anche la Lega va all’attacco, con il capogruppo in commissione Finanze alla Camera, Massimo Fugatti, che dichiara la netta contrarietà all’ipotesi di una deroga: «C’è il rischio che apra a una serie di procedure per derogare a un principio che è sacrosanto». E la deputata del Carroccio, Giovanna Negro denuncia l’entità delle «buste d’oro pagate con i soldi di quei contribuenti a cui non basterebbero due vite per raggiungere lo stipendio annuo di uno di questi signori».
Tanto che lo stesso ministro della Pubblica amministrazione e Semplificazione, Filippo Patroni Griffi, ha ritenuto necessario emanare una nota ufficiale per affermare che «ministri e sottosegretari non usufruiranno di alcuna deroga al tetto delle retribuzioni dei dipendenti pubblici». Ma non ci sono solo loro, ribatte Borghesi: «Resta il fatto che la norma c’è e che, tra l’altro, riguarda la marea di incarichi presso ministeri o enti di nomina governativa o politica».

Alessandra Mussolini (Pdl), intanto, chiede ai membri del governo di partecipare ai sacrifici imposti ai cittadini, ai politici e ai dirigenti dell’amministrazione, rinunciando allo stipendio di parlamentare che per legge si somma alla loro indennità da ministri. Mentre Raffaele Lauro (Pdl) chiede un giro di vite agli «scandalosi, ingiustificati e abnormi mega stipendi dei manager delle società quotate».

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