Il dottor Lippi ha già la diagnosi: «Troppi elogi dopo il Ghana»

Nel processo azzurro il ct difende il gruppo: «Gara con gli Usa condizionata da episodi, non usciamo ridimensionati. Ripagheremo la fiducia degli italiani»

nostro inviato a Duisburg
La cornice e il quadro. La cornice preparata da Lippi è perfetta e segnala il difetto antico, e ripetuto, dell’italica gente, Nazionale di calcio compresa: si esalta alla prima vittoria, si deprime al primo inatteso pareggio. Tutto vero, documentato. Visti, un’ora prima di cominciare, gli azzurri sul prato del Fritz Walter con gli occhi al maxi-schermo a seguire Ghana-Repubblica Ceca invece di pensare ai pellerossa americani e alla loro voglia di attaccar brighe. «Prima del debutto di Hannover, c’era grande pressione, abbiamo avuto un forte dispendio di energie nervose, è seguito il classico rilassamento a dimostrazione che il nostro era ed è uno dei gironi più complicati ed equilibrati del mondiale» la sintesi del ct che corrisponde al vero. È una cornice fatta di chiaroscuri e alle ombre seguono le luci. «Adesso che scatta la tagliola del dentro o fuori, daremo ancora il meglio» è la sua profezia: mai persa, neanche in un giorno così, dopo una notte insonne, la fiducia nel lavoro svolto e nel gruppo prescelto. «Col Ghana avevo visto un’Italia buona, non eccezionale, con gli Usa ho visto una squadra condizionata da episodi negativi, non usciamo ridimensionati»: ecco da dove proviene il suo equilibrato ottimismo, affonda le radici persino nel debutto, «C’è stata qualche lode di troppo», toh beccatevi questa. Dentro la cornice, resta il quadro. Che non è esaltante. Colori cupi, spine nel fianco, tradimenti palesi, forme scadenti di giocatori rimasti su piazza. A cominciare da quella di Totti, seguito subito a ruota da Del Piero: in società, uno per 35 minuti, l’altro per 37, han combinato poco, molto poco. E l’ammonizione incassata dal romanista non c’entra con la sostituzione. «Ho fatto un ragionamento classico: siamo in dieci, tolgo uno dei tre attaccanti, tolgo quello meno in forma. Tutto qui» la spiegazione che non fa una piega. Non invece il giudizio sulla scommessa complessiva Totti, operazione su cui risulta avvitato tutto il suo mondiale, l’attesa della guarigione, lo schieramento a sua misura, il gruppo dei 23 scolpito evitando di arruolare ali per il 4-4-2. Qui Lippi, nel difendersi, risulta meno convincente. «Gli ho detto contro gli Usa di andare largo a sinistra a trovare spazio, per un’ora col Ghana è andato bene, ha subito l’influsso negativo generale e né a lui né a Del Piero posso fare addebiti specifici, non si pareggia in due» racconta.
Dopo i chiaroscuri, le macchie nere. Zaccardo, per cominciare, con quel sinistro delizia dei Gialappa’s finito nell’angolo dell’esterrefatto Buffon. «È successo anche a calciatori più famosi e celebrati di lui» ricorda Lippi che qui vuole risultare paterno nei confronti del difensore, da ieri chiamato Comunardo. «Ma non è stata quella la svolta negativa della partita» segnala deciso. Già, la gomitata nello stomaco dell’Italia è arrivata da De Rossi, da quel suo raptus. «Per ora non gli parlo, deve bollire nel suo brodo dentro questa pentola che è sul fuoco da sabato sera. Lo farò, deve capire, deve cambiare registro, altrimenti si appiccica addosso una nomea negativa, il ragazzo è fantastico. Eppoi va anche detto che i calciatori italiani si portano dietro certe cattive abitudini dal nostro campionato»: alla fine viene fuori il rospo di Lippi. Se dalle nostre parti, alzare il gomito in volo, è pratica scontata, nessuna meraviglia se poi al mondiale si paga il conto salato. Prendano nota gli arbitri italiani, quei pochi rimasti in circolazione. Ma gli Usa, gli americani insomma, non facciano i maestri. «Ho visto proteste sul gol in fuorigioco partito dopo uno scontro con Perrotta rimasto a terra infortunato: è questo il loro noto fair-play?» la stilettata spedita al collega Arena.
I rimpianti, i rimorsi addirittura, sono almeno un paio ed emergono neanche a fatica nelle pieghe dei ragionamenti tecnici, per addetti ai lavori. Non Oddo, naturalmente, «già premiato con la sua presenza qui in omaggio al suo strepitoso campionato», ma Inzaghi e Camoranesi. Già proprio Inzaghi, ignorato fin qui con una tecnica che farebbe pensare a un pregiudizio intollerabile. «Gli spazi c’erano, negli ultimi 15 minuti, serviva forse uno come lui ma senza l’infortunio di Perrotta, avremmo sfondato» è la sua parziale ammissione di responsabilità. Nel giochino del «rifaresti tutto?» viene fuori, di prepotenza, un altro nome, Camoranesi. «Forse doveva entrare lui, non al posto di Del Piero» aggiunge per mettere al riparo Alex, già esposto a una serie di stroncature eccellenti. E protetto con un gesto sapiente. Dalla platea gli ricordano gli appuntamenti falliti in azzurro da Del Piero. «Lo aspettiamo dal ’96» gli fanno. «Vi auguro altri anni ancora» e si alza di scatto chiudendo di fatto l’incontro con i giornalisti. Non prima di aver definito il rientro di Zambrotta e, molto più promettente, quello di Gattuso, richiamato in fretta e furia alle armi dinanzi alla guerriglia urbana degli yankee.
La cornice, il quadro e il bigliettino per gli italiani. Alla fine Marcello Lippi lo scrive sotto gli occhi di taccuini e telecamere.

«Dite agli italiani che continuino ad avere fiducia, li ripagheremo, abbiamo la ferma intenzione di andare avanti, non si possono giocare 7 partite al cento per cento, non siamo robot» conclude. Siamo solo italiani, un po’ «tafazzi», magari.

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