Roma«Il pil, se non succede niente, in altre parole se non continua a cadere, alla fine di questanno sarà sceso del 5% circa». Il governatore della Banca dItalia, Mario Draghi, ieri a LAquila per presentare il rapporto sulleconomia abruzzese nel 2008 ha sottolineato che, a politiche invariate, il prodotto interno lordo italiano è destinato a una flessione più pesante di quella annunciata dalle previsioni nazionali e internazionali.
Il ministro dellEconomia Giulio Tremonti (che oggi in Consiglio dei ministri varerà alcune misure anticrisi tra le quali la detassazione per chi investe e un bonus per chi non licenzia) ha tuttavia ribadito i propri dubbi sulla fondatezza delle stime diffuse in tempi di crisi. «La stessa istituzione - ha detto al Tg2 riferendosi a Bankitalia - qualche mese fa aveva detto -2. Chi ha ragione?». Il titolare del Tesoro ha invocato il «silenzio fino a settembre» sulle previsioni precisando che non si tratta di «censura ma di igiene» perché dare troppi dati «è un modo per fare del male alla gente, diffondendo sfiducia e incertezza».
Il quadro, infatti, potrebbe essere meno fosco. «Si potrà parlare di crescita - ha aggiunto Draghi - solo se queste condizioni si realizzeranno: la tenuta dei consumi e la possibile tenuta del mercato del lavoro». Per tornare a un ciclo espansivo è necessaria una ripresa delle spese per consumi. «In Europa continentale non abbiamo avuto tassi di crescita elevati come negli Usa, ma stabili nel tempo. Se dovessero flettere, anche queste speranze di ripresa potrebbero diventare difficili da realizzarsi», ha precisato.
Da questa precondizione ne deriva una seconda: la stabilità del mercato del lavoro. Purtroppo, ha ammesso il governatore, «la disoccupazione continua a crescere». È perciò imprescindibile la conservazione della capacità di spesa anche in presenza di un aumento delle persone in cerca di occupazione. «I comportamenti delle imprese e dei consumatori da un lato e le politiche economiche che verranno fatte nei prossimi mesi, dallaltro, saranno le condizioni per il superamento di questa crisi», ha concluso.
Nei giorni scorsi Draghi aveva accennato alla possibilità di definire una sorta di exit strategy dalla crisi da parte dei principali attori internazionali, ma ieri è stato più prudente. È ancora «molto presto per mettere in atto le strategie di uscita dalla crisi, non avrebbe nessuna credibilità» perché il mercato bancario «non è stato ancora riparato» e il credito stenta a tornare alleconomia, ma è comunque importante «cominciare a disegnarle».
Scartata lipotesi di nazionalizzazione delle banche («Nessuno ha in mente un obiettivo di questo tipo»), mercati e consumatori intendono comprendere come si uscirà da questa impasse. Il problema è lincertezza dello scenario: dopo una prima fase molto pessimistica, la «velocità di caduta è rallentata». Non si tratta di «grandi revisioni che fanno pensare che siamo arrivati ad un punto di svolta, ma certamente sono segnali da guardare con molta attenzione».
La palla però ritorna nel campo nazionale. Come potrà reagire lItalia? «Con una crescita simile a quella con cui siamo entrati nella crisi, cioè zero? Oppure più elevata?», si è interrogato il governatore rispondendosi che tutto dipenderà dalle «riforme strutturali, in modo da superare la crescita piatta che dura da 15 anni».
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